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Nepal-India:
4000 km di sorprese
racconto di viaggio a puntate che appare anche sulle
pagine della rivista Illustrazione ticinese di Roberto S.
Introduzione
Un viaggio di 4000 km via terra, utilizzando i mezzi di trasporto
più diversi: dagli sconquassati bus locali ai treni sovraffollati, dalla bicicletta ai
carri trainati da buoi, dalle canoe agli elefanti. Un percorso iniziato ai piedi delle
vette innevate himalayane che condurrà fino alle palme del sud dellIndia.
Unavventura faticosa per riscoprire sensazioni daltri tempi, quando il
viaggiare non era sinonimo di vacanza ma di necessità di spostamento da un luogo
allaltro...
1. Cremazione a PashupatinathI piedi
del morto sporgevano dal lenzuolo rosa nel quale era avvolto, il fuoco dalla bocca si
propagava a fatica, malgrado limpegno profuso dalladdetto alla cremazione che
con esperienza aveva preparato la catasta di legna sulla quale giaceva il corpo.
Nellaria si diffondeva un odore acre di carne bruciata ed i fumi venivano sospinti
da improvvise folate di vento in direzioni sempre diverse. Intanto il sole calava e
sembrava non voler staccare i suoi ultimi raggi di sole da quel corpo privo di vita che il
rito induista voleva inumato sulle sponde del sacro fiume Bagmati che attraversa Katmandu.
Solo da pochi giorni sono giunto nel Nepal e questa esperienza sembra volere già
preannunciare le forti emozioni che mi avrebbero accompagnato nel corso del lungo viaggio
ai piedi dellHimalaya prima e poi attraverso tutta lIndia. Un inizio forse
brusco che in breve tempo, già nel corso della prima tappa intermedia a Nuova Dehli, mi
aveva introdotto di forza nei ritmi di questi luoghi tanto diversi per cultura, clima,
profumi e sensazioni. Per chi intende vivere questi paesi sino in fondo e senza perdere
troppo tempo per abituarvisi, non vi è forse niente di meglio di giungere con varie ore
di ritardo sul programma ed in piena notte allaeroporto di Dehli. Naturalmente con
in tasca unicamente il solo biglietto per il volo di ritorno.
Identikit di un funzionario indiano ...
Nel mio caso poi anche il destino avverso ha voluto metterci qualche cosa di suo.
Accade così che, oltre alla fatica accumulata per un volo che non aveva di certo fatto
grande onore, per quanto concerne la puntualità, alla compagnia aerea sulla quale
viaggiavo, mi ritrovi per una serie incredibile di circostanze ad essere lultimo (!)
passeggero a poter transitare al controllo passaporti dellimmigrazione indiana. Ero
stato infatti penosamente sballottato da una fila allaltra che incredibilmente, ogni
qual volta vi venivo accodato, si bloccava per le ragioni più diverse. Senza offendere di
certo i funzionari doganali indiani incontrati, il men che si possa dire è che la loro
formazione non contempla di certo due lezioni: quella su come sbrigare il più rapidamente
possibile una pratica e quella sulla cordialità. Interpreto quindi quel "How are
you?" (come va?) rivoltomi ormai a notte fonda dal doganiere come un gesto di
incredibile pietà nei miei confronti, un saluto al quale probabilmente nessuno degli
altri passeggeri sbarcati aveva avuto diritto. Magra consolazione comunque. Il controllo
delle poche pagine del mio passaporto con scritto qualche cosa - era appena stato
rinnovato! - lo occupa comunque parecchi minuti, così come il grande sforzo di sollevare
il timbro per lasciarlo ricadere svogliatamente poco dopo. Sono comunque finalmente in
India, non mi resta che ritrovare con giustificata angoscia il mio sacco depositato in un
angolo della sala dellaeroporto ormai semi deserto. Al bancone
dellinformazione turistica fortunatamente è rimasto ancora un inserviente che con
gentilezza mi consiglia una pensione non troppo cara, o meglio un alloggio annesso ad una
pensione, avrei poi capito in seguito la differenza.
... e quello di un tassista indiano
Comincia quindi la consueta dura lotta che ogni viaggiatore solitario, e non, deve
affrontare confrontato coi tassisti locali. Una categoria di persone non priva di rischi,
come ben documentano le storie più incredibili che si possono sentire dai viaggiatori.
Non era la prima volta che affrontavo il problema e quindi mi preparo con una delle facce
più cattive e decise che il mio viso poteva, dopo tante fatiche, ancora mimare. In
pochissimo tempo trovo il taxi, ritocco il prezzo iniziale del 50% verso il basso e mi
siedo dando limpressione allautista che se si azzarda a sbagliare strada
sarebbe potuto andare incontro a guai seri. Non so quanto male intenzionato fosse, ma un
fatto mi appare subito chiaro: ero caduto su di un appassionato di formula uno e per di
più daltonico. Nel corso del tragitto di oltre mezzora necessario per raggiungere
il centro di Dehli non ho potuto infatti contare nemmeno un semaforo rosso rispettato,
paese che vai...
Se pensavo poi che fosse tutto finito allarrivo a destinazione, vengo subito
smentito. Il prezzo pattuito è di nuovo nel frattempo fluttuato verso lalto ed il
mio campione di rally indiano rifiuta quasi sdegnosamente le rupie che gli porgo. La mia
pazienza è ormai da tempo esaurita, prendo il denaro lo metto sulla strada con una pietra
sopra e gli dico voltandogli le spalle che se non li prende lui se li prenderà qualcun
altro. Non mi tolgo nemmeno la soddisfazione di guardarlo in faccia e poco dopo vengo
accolto con tutte le cortesie alla pensione dove avevo riservato la camera. Ma come già
detto non era proprio li, bensì in un immobile annesso ... che a Dehli significa a circa
tre chilometri! E come ci arrivo? Nessun problema, uno scooter a tre ruote è a
disposizione davanti allentrata ed è tutto compreso nel prezzo. Ricomincia quindi
il peregrinare, sennonché trascorse poche centinaia di metri riecco unaltra
dimostrazione dellaffidabilità dei tassisti locali. Il mio nuovo conduttore si
impegna con insistenza nel convincermi che il luogo nel quale mi sta portando vale molto
poco e mi consiglia unaltra pensione di sua conoscenza. Bella correttezza, penso, è
così che freghi chi ti ha dato il lavoro! Non ho però più voglia di nuove avventure,
anche se il mio alloggio dovesse essere una "topaia" sarà pur sempre meglio
della strada e da come sono stanco poco importa.
La povertà dei marciapiedi
Immaginabile è quindi la soddisfazione che provo quando poco dopo immergo il sacchetto di
tè marca Taj Mahal nella tazza di acqua bollente che il cordialissimo personale mi serve
nel bel mezzo della notte in unaccogliente camera con televisione, telefono e bagno
privato ... i primi - e gli ultimi - "lussi" di questo viaggio. Ammetto che
allarrivo un qualche dubbio sul luogo mi aveva ben più che sfiorato. Lentrata
della pensione mi era parsa a dir poco lugubre, ma poi oltre le inferiate ed una porticina
ambigua mi ero trovato di fronte ad un atrio delizioso, arioso e ricco di piante. Le
sorprese che lIndia può offrirti! Meno sorprendente il giorno dopo però il
ritrovare le strade di Nuova Dehli dopo molti anni dalla mia ultima visita ben poco
cambiate. Vie che senza pudore alcuno ti mostrano cosa significhi la povertà. I bambini
che avevo visto anni or sono vivere di stenti sui marciapiedi erano forse divenuti adulti,
almeno i più fortunati tra di loro, la strada era però rimasta la loro dimora, i
marciapiedi le loro mense, i muretti gli unici ripari, i rigagnoli dacqua il loro
bagno. E una povertà che non ti può lasciare indifferente, dalla quale ben poco
serve voltare la testa, perché te la ritrovi ovunque. Sono queste le ultime sensazioni
che ho lasciato in India prima di riprendere il viaggio verso il Nepal.
2. Quando ti ci metto uno sherpa
Tra le tante disavventure nelle quali ci si può imbattere nei primi giorni a Katmandu vi
è probabilmente quella di fare conoscenza di uno studente nepalese di stirpe Sherpa. Per
intenderci: uno di quei giovani cresciuti sulle montagne più alte i cui fratelli maggiori
offrono i loro servizi - quali portatori di carichi immani - a turisti desiderosi di
assaporare lebbrezza e laria fin troppo fina delle vette Himalyane. Ebbene la
schiena che seguo ormai da ore per tutte le vie ed i dintorni di Katmandu è quella di uno
sherpa residente nella capitale. Mai stanco, mai sudato ed appassionato narratore di tutto
quello che conosce sulla cultura, le religioni ed i monumenti del suo paese. Su e giù per
stupa e templi senza sosta. Stringo i denti, dopotutto provengo anchio da un paese
tradizionalmente montanaro ... Più ragionevole è invece il ritmo di Bisay, un ragazzo di
quindici anni che incontro dopo aver percorso alcune centinaia di metri tra le viuzze di
Baktapur, cittadina dalle sembianze medioevali a due ore da Katmandu. Qui il tempo,
oltrepassando uno dei suoi imponenti portali, pare ritornare indietro di secoli. Bisay non
è una guida, né uno studente di storia, né un giovane alla ricerca di una mancia da un
turista. Ambisce divenire monaco, ma mi accompagna perché desidera apprendere un poco
dinglese.
Baktapur, il ritorno al medioevo
Sono le prime ore del mattino: alcuni carretti attraversano le strette vie acciottolate e
oltre le porticine delle corti sintravedono maree di riso poste ad essiccare sul
selciato. E facile perdersi tra le viuzze, ammirando i bassorilievi delle cornici
delle finestre o le splendide balconate in legno sotto le quali rimbombano le voci gioiose
dei bambini poi, inevitabilmente, ci si ritrova nel centro senza parole con davanti agli
occhi le bellezze degli antichi templi di Durban Square. Indugio a lungo se non fermarmi
proprio qui per alcuni giorni, in questo luogo così simile, ma pure così diverso da
Katmandu, dove però non vi sono quasi rumori, niente auto, niente gas di scarico, niente
vie trasformate in shopping center per turisti. Senza però una ragione valida riparto,
spinto da quellistinto viaggiatore, da quella consapevolezza che questo viaggio
sarà un costante movimento, perché 4000 km su terra a queste latitudini son più di un
viaggio, sono una piccola sfida. Ed i chilometri per il momento li percorro quasi sempre a
piedi, girovagando per la Katmandu Valley - la vallata di Katmandu - e prendendo sempre
più confidenza con luoghi e genti, acquisendo quellesperienza e quelle sensazioni
che mi sarebbero divenute utilissime in seguito.
Grandi montagne ... piccoli bus
A tratti mi ritrovo su uno dei tanti e scalcagnati bus locali. Sono di dimensioni
ridotte, sia dentro che fuori, adattati insomma alle strade di montagna ed alla struttura
fisica delle genti del luogo. Un poco meno conformi alle mie misure: a fatica riesco ad
incastrare le gambe tra un sedile e laltro, quando trovo un raro posto a sedere,
altrimenti mi rassegno a rimanere in piedi a capo chino per ore, perché il tetto è
troppo basso. Attorno vi sono poi le montagne, Everest, Manaslu, Annapurna, tutte vette
dai nomi importanti che sfioro costantemente con lo sguardo, con rispetto, perché lassù
il cielo è molto vicino. Le assaporo forse ancora di più perché so che, al contrario di
altri viaggiatori, non andrò nella loro direzione, non cercherò la sfida delle loro
altezze, bensì volterò presto loro le spalle per raggiungere quei mari ed oceani nei
quali finiscono le acque che da lassù sgorgano. Cammino molto percorrendo incantevoli
vallate terrazzate, a tratti in compagnia di giovani pastori nepalesi - spesso carichi di
fardelli immensi, cataste di legna dalle quali spuntano due piccole gambe. Li incontro per
caso sui sentieri e mi invitano nei loro villaggi di poche e modeste case dalle mura
rossastre ed i tetti di paglia.
In trekking con un bimbo di cinque anni
Il figlio di Shantosh, cinque anni appena compiuti, ha già accompagnato il padre ad un
trekking con dei turisti della durata di una decina di giorni, sei ore giornaliere di
cammino tra i quattro ed i cinquemila metri. Ma quella è stata solo una presa di
contatto, il prossimo anno si farà sul serio! Santosh è un giovane di 21 anni che mi ha
invitato a casa sua. Giovane solo di età in quanto pur avendo la metà dei miei anni ha
già il doppio dei miei figli, lultima nata, la quarta genito - che mi pone tra le
braccia con orgoglio - ha solo poche settimane. Il suo villaggio è posto ai piedi di una
collinetta incantevole, persa nella vallata e circondata da risaie e coltivazioni di una
bellezza pittorica mozzafiato, che non mi stanco mai di ammirare. Qui trascorro gli ultimi
giorni prima di intraprendere il viaggio vero e proprio verso il sud. Inizialmente mi ero
trovato quasi obbligato dalla grande cortesia mostratami da una famiglia locale a dover
rimanere in una casa le cui condizioni di vita ed igieniche, malgrado fossi preparato a
"quasi" tutto, mi ponevano dei grossi problemi. Lincontro con Santosh era
stato un poco la mia via di salvezza, il pretesto per rifiutare un invito senza offendere
nessuno. Il tempo passa, anche se quasi non me ne accorgo, immerso come sono per ore nella
vita semplice di questi luoghi: laratura a mano dei campi, la pulitura del riso
davanti alle abitazioni, laccudimento delle bestie, la preparazione dei semplici
pasti. Gesta che si ripetono con monotona, ma con così affascinante e serena frequenza.
La mucca in camera da letto
Rimangono come sempre tanti ricordi. Lultimo me lo regala proprio la signora
nepalese al cui invito ero in un certo senso sfuggito il primo giorno. La incontro mentre
a fatica sta spingendo fuori dallo stretto uscio di casa la stanca mucca con la quale
aveva condiviso la casa nel corso della notte. Allinterno i locali sono bassi, le
travi di sostegno annerite dal fumo, il tipico forno dargilla rossastra, poche
vettovaglie e lodore della mucca che impregna ancora laria. Mi invitano a bere
un bicchiere di liquore locale mentre il padre - ubriaco ed un poco scorbutico - fuma la
pipa ad acqua.
3. Il patetico vigile di Chetrapati
In serata nulla pare più muoversi a Katmandu: auto, biciclette, carri e carretti,
ritsha a pedali o a motore intasano le strette vie del centro, tanto che nemmeno i pedoni
riescono più ad avanzare. Volonterosi vigili urbani si danno da fare pateticamente tra
gli ingorghi e gli imbottigliamenti, ma fischiare e sbracciare disordinatamente poco serve
tra il frastuono di claxon e motori. Cala la notte e dopo uno dei consueti "black
out" di corrente che aveva lasciato per un paio dore parte della città al buio
- una sensazione bellissima ritrovarsi immersi nel nulla tra candele e lampade a petrolio
- ritrovo le vie del centro svuotate da tutti quei rumorosi corpi che parevano non
appartenere loro. Incontro però ancora nella penombra alcuni vigili
"sopravvissuti" allincrocio di Chetrapati: imperturbabili, visibilmente
provati, soffiano ancora nel fischietto ormai senza ragione alcuna, come fosse una
reazione condizionata ogni qual volta vedono qualche cosa muoversi. Ma nessuno, nemmeno
ora, dà loro ascolto. Li osservo per alcuni minuti e vengo pervaso da una gran voglia di
avvicinarli, abbracciarli e dir loro che io mi sono accorto che sono ancora lì in mezzo
alla strada a fare il loro dovere e far loro notare che ora non vi sono però più veicoli
e possono pure tornarsene a casa. Un ultimo inutile fischio e poi volto anchio loro
le spalle. Domani le volterò pure a Katmandu e presto anche al Nepal che già mi ha dato
tanto.
Il Nepal ... dei tropici
Lascio così dietro di me i tipici paesaggi e le colline terrazzate della Katmandu
valley, le pareti delle montagne si fanno vieppiù ripide, la strada scende e poco più in
basso intravedo il fiume che scorre a tratti irruente a tratti docile quando il suo letto
si allarga. Le acque cambiano continuamente colore dal blu al verde, dal bianco al
marrone. Si attraversano piccoli e poverissimi villaggi che sopravvivono grazie alla via
di transito ed a quello che offre loro il fiume: cioè sabbia e sassi che faticosamente
vengono riportati dal fondovalle fino alla strada. Lultimo tratto di viaggio lo
percorriamo su strade sempre più dissestate, il sole scalda ed i finestrini non si
possono più aprire a causa della molta e finissima polvere che ti penetra nelle vie
respiratorie dandoti una leggera sensazione di soffocamento. Poi la vegetazione si fa
lussureggiante, verde, tropicale. Le montagne himalayane paiono così più lontane anche
se sono perennemente presenti con le loro nevi sullo sfondo. Interrompo finalmente il
viaggio dopo sei ore nei pressi del parco nazionale di Chitwan ove intendo recuperare un
poco le forze dopo le fatiche dello scomodo viaggio nel bus nepalese, come pure provare il
giorno seguente lebbrezza di unescursione a dorso delefante. Ben presto
però lascerò anche le tranquille notti ed i bei tramonti rosso dorati sul fiume Rapti
per dirigermi verso ovest, attraversando tutta la grande piana nepalese del Terai.
Buoi , bicicletta, ritsha e bus
Un "bidone alla nepalese" mi priva del mezzo di trasporto - una vecchia jeep -
che avrei dovuto utilizzare per raggiungere nuovamente la stazione dei bus. Rimedio
dapprima grazie al patetico sforzo di due scarni buoi che mi trasportano lentamente sul
carro da essi trainati, poi passo ad un mezzo molto più moderno: la bicicletta. Ma è
caldo, il veicolo affidatomi non molto sicuro, le strade sconnesse e sterrate. Vengo per
così dire salvato da uno scooter collettivo sul quale accettano con qualche brontolio il
mio zaino, che effettivamente risulta essere in quellangusto spazio alquanto
ingombrante. Di tappa in tappa mi ritrovo finalmente sul bus per le lunghe distanze che da
tempo cercavo, di cui tutti parlavano, ma del quale non era ben chiaro dove e quando
sarebbe transitato. La fertile piana del Terai, nel sud del Nepal, che mi attendevo
monotona, si rivela essere una delle più belle sorprese di tutto il viaggio. Attraverso
risaie dalle spighe giovani e di un verde intensissimo, boschi, palmeti, foreste tropicali
e per lunghi tratti ho quasi nuovamente limpressione di essere a ridosso delle
montagne, ma poi improvvisamente tutto cambia e mi ritrovo in ambienti tipicamente
indiani: le donne coi sari colorati, i caratteristici negozietti operosi dei commercianti
e le abitazioni dalle forme vagamente orientali tra le quali circolano ritsha a pedali. Le
poche e brevi soste del bus mi permettono di rendermi conto di come in questi luoghi le
persone occidentali siano ancora una curiosità. Scambio alcune parole, ma qui senza la
lingua indi o il nepali si è veramente persi. Malgrado ciò anche nelle lunghe ore
trascorse nel vecchio bus riesco ad instaurare molti e simpatici contatti che mi aiutano
particolarmente nelle ultime ore, quando la fatica comincia a minare anche la capacità di
resistenza psichica. Il sedile è infatti molto stretto e per di più malauguratamente
situato sopra la ruota posteriore. Ad ogni buca, ad ogni sobbalzo scivola in avanti e con
un gesto ormai rodato e concordato con al signora nepalese che mi siede appiccicata
accanto lo rimettiamo per lennesima volta a posto.
In dogana: prima mangia poi il visto
Anche se partito di primo mattino raggiungo il luogo di frontiera con lIndia quando
è già buio. Sono trascorse quindici ore e non vedo il momento di potermi distendere su
di un letto prima di affrontare il giorno successivo le molte pratiche doganali. Il
mattino seguente al posto duscita nepalese troverò dei funzionari estremamente
cordiali che quando dico loro che lascio il Nepal con una certa tristezza mi fanno
partecipe di tutta la loro sincera riconoscenza con un grande sorriso. Segue il primo
controllo indiano che affronto con timore, memore delle esasperanti esperienze di Delhi,
quando poi vedo anche del cibo sul bancone la mia mente è invasa da un grande senso di
rassegnazione ... sicuramente mi toccherà attendere sino a quando avranno tranquillamente
terminato il pasto. E questo in un certo senso si rivela vero, ma solo perché vengo
accolto come un amico ed invitato ad aggiungermi a loro per gustare le varie pietanze.
Quando poi si accorgono del mio passaporto svizzero, divengo pure quasi oggetto di culto,
sono tutti infatti ammiratori del mio paese e soprattutto del suo esercito che pare
conoscano molto meglio di me. Chi lavrebbe mai detto ad un piccolo valico di
frontiera tra il Nepal ed il Bengala! Le seguenti due tappe doganali si rivelano essere
poca cosa e senza accorgermi mi ritrovo così a cercare un ennesimo fantomatico bus sulla
strada che conduce al capoluogo Siliguri. Molta gente lo attende con apparente
tranquillità. Dico esplicitamente "apparentemente" perché quello che accade
allarrivo del veicolo è una via di mezzo tra una lotta "full contact" ed
un sottile gioco di strategie, dove ogni atto è lecito pur di riuscire a salire
sullangusto mezzo di trasporto. Assicuro che il riuscirvi con uno zaino in spalla è
unimpresa di quelle che inorgoglirebbe ogni viaggiatore. Di questa fiducia in me
stesso ne avrei però ancora avuto molto bisogno nel proseguo della giornata, ma in quel
momento ero ancora completamente ignaro di quello che mi sarebbe accaduto.
4. Così si acquista un biglietto del treno ...
La classica "giornata da dimenticare" che però fatalmente ti rimane nella
memoria forse per tutta una vita e si trasforma in uno dei racconti più
"gustosi" ... per il lettore. Doveva essere uno dei momenti chiave del viaggio.
Oggi infatti era il giorno nel quale rientravo in India, il giorno nel quale il mio
peregrinare avrebbe dovuto indirizzarsi decisamente verso il sud e nel quale avrei dovuto
acquistare i biglietti del treno definendo litinerario futuro. Tutto quindi doveva
risolversi in pratica allufficio di riservazione delle ferrovie indiane che, nota
bene, non è alla stazione - dove mi sarei recato dintuito -, bensì allaltro
lato della città! Ma da questo primo possibile errore - un segnale dalle fattezze del
presagio - vengo salvato dalla cortesia e dalla disponibilità di un giovane studente del
Bhutan, incontrato casualmente nella calca del bus che dal confine indiano mi aveva
condotto sino al capoluogo Siliguri. Malgrado tutta la mia preparazione teorica sui treni
indiani, lesercizio pratico una volta giunto allufficio si rivela essere
alquanto differente. Innanzitutto bisogna spiegare che i treni in India hanno tutti un
nome ed un numero, quindi qui non si prende il treno per Calcutta, ma ad esempio il 6453
che è il Darjeeling Mail. Lo spiccato senso per i numeri e la matematica degli indiani fa
si che ognuno sia perfettamente in chiaro quando gli si dice che dovrà prendere il 6457 e
quindi cambiare sul 7834, e via dicendo. Ulteriore difficoltà è costituita inoltre dal
fatto che i riferimenti geografici sono con i nomi delle stazioni e non con quelle delle
località. Inutile dire che le denominazioni delle stazioni sovente sono completamente
differenti da quelle delle città dove si trovano. Munito quindi di carta e penna osservo
con attenzione il grande tabellone sul muro che indica tutti i numeri dei treni col loro
abbinamento ai giorni della settimana. Poi mi dicono cortesemente che non posso mettermi
semplicemente in fila ma prima devo richiedere ad un altro sportello il foglio da
compilare coi dati del treno da me desiderato, questo documento sarà poi da consegnare
allo sportello delle riservazioni. In poco più di venti minuti trovo lo sportello giusto,
faccio la fila disciplinatamente come tutti e ritorno sui miei passi per accodarmi ad una
delle tre lunghe file dellufficio biglietti.
... e dopo tre ore in coda ...
Evito quella preferenziale riservata ai militari e simili, che però è in ogni caso
lenta come le altre. E quando dico lenta intendo che sono necessarie più di tre ore per
fare circa dieci metri di coda, o per chi la volesse misurare in persone circa quaranta
persone! Non so se abbia più sofferto per le tre ore, per i dieci metri o per il fatto
che in ogni metro in pratica erano ammassate luna contro laltra quattro
persone. Questa pressione diviene sempre più forte man mano che ci si avvicina allo
sportello, sempre più insopportabile diviene il sudore della schiena di chi ti precede e
quello della pancia di chi ti segue. Sono condizioni sopportate però da questa gente con
tranquillità, anche quando lo sportello che ti sta davanti si chiude ed appare il
cartello "pausa per pranzo!" Per finire è il mio turno, mi ritrovo le due
guance delle persone dietro di me addosso, interessatissimi per come riservo il mio posto.
O meglio tento di farlo, perché il funzionario dopo aver accuratamente studiato il mio
foglio di viaggio ed aver inserito i dati nel computer mi dice che non funziona. Non so se
debba essere più sconvolto dal fatto che non vi sia posto sui treni da me chiesti o dal
fatto che incredibilmente il funzionario lavori col computer. E quel computer funziona!
E davvero molto simile a quello del mio ufficio. Ma allora come è possibile
impiegare oltre tre ore per vendere quaranta biglietti?!
Quel che non funziona in una maniera in India non necessariamente significa che non possa
funzionare in unaltra. Mi viene così consigliato dal cordialissimo funzionario
dietro lo sportello di tentare la via del capo reparto dalla porta sul retro. Tradotto
dallinglese con accento indiano in parole molto semplici significa di tentare di
corrompere qualcuno. Io ci provo e vengo gentilmente ma decisamente rimandato da dove ero
partito ... fortunatamente non devo più fare altre tre ore di coda. Qui con molta
fantasia mi viene allestito un itinerario alternativo in diverse tappe, comprendenti vari
treni e quasi sempre in seconda classe indiana con cuccette. In totale due giorni e due
notti di viaggio per circa 3000 km di vie ferrate, il tutto per poco meno di dieci franchi
svizzeri! Ma di questo mi rendo conto solamente quando, molto provato, mi siedo un momento
per riordinare le idee sul muretto antistante lufficio. Il biglietto mi appare
indecifrabile, composto da diverse parti, ma una cosa la capisco: la data non è quella di
oggi, bensì quella di domani notte. Ne ho comunque già però ben più che abbastanza di
quella città e decido di prendere un bus qualsiasi che mi porti nuovamente verso le
montagne, verso il Sikkim dove è più fresco. Approfitto poi del fatto di trovarmi in un
capoluogo per cambiare rapidamente cento dollari americani in rupie indiane. Errore
fatale!
Inizia il secondo incubo
Entro nella banca e mi reco al piano dove vedo indicato "money change". Ma
chiaramente (!?) dove vi è scritto "cambio denaro" non è il luogo dove ci si
deve recare. Mi inviano così al secondo piano e quindi al terzo. Allo sportello sette -
che è però un tavolo - mi viene consegnato da un signora altezzosa un documento da
compilare con tutti i miei dati anagrafici, ivi inclusi nomi di padre e madre. Ricordo che
sto semplicemente dando una banconota da cento dollari per ricevere la corrispondente
somma in rupie in una grande banca indiana! Con ancora più cipiglio severo i miei dati
vengono analizzati e poi passati allo sportello accanto: il secondo tavolo. Mi sposto e
qui mi viene chiesto il mio passaporto da un signore che si sforza di dare sfoggio di un
atteggiamento particolarmente intelligente e colto. Ma appunto di colto vi è solo
latteggiamento e ciò si traduce in dieci minuti, che mi crediate o meno è la
verità, per analizzare tutti i dati e riscriverli su di un altro foglio. Ma sono i
medesimi dati che ho appena scritto sul formulario precedente! Finalmente ricevo un
gettone col quale mi viene detto, ma mi pare quasi un ordine, di rercarmi ai piani
inferiori ... appunto dove sta scritto "money change". Riprendo nuovamente i
miei bagagli che sono decisamente molto ingombranti in quegli angusti locali e corridoi e
mi reco allo sportello dettomi. Come vi giungo il funzionario mi saluta molto gentilmente
e poi mi chiude in faccia il cancelletto dello sportello. Qui lo sportello cè
davvero! Riappare dopo dieci minuti per dirmi che i soldi non li ha, li devono portare dal
piano di sopra (?!). Affronto questa ennesima prova con ammirevole calma, anche perché se
dovessi esprimere quello che risento penso che finirei arrestato. Ne approfitto
addirittura per mostrare nellattesa al funzionario il mio agognato biglietto del
treno acquistato pocanzi e per richiedergli ragguagli. Ben presto a lui si
aggiungono altri improvvisati "specialisti delle ferrovie locali" sia da una
parte che dallaltra dello sportello ed ognuno sentenzia spiegazioni differenti.
Capisco comunque due cose: la prima è che tutti concordano che domani sera partirò nella
giusta direzione, la seconda che nessuno è in grado di spiegarmi il contenuto esatto del
biglietto. Per terminare arrivano poi anche i soldi. La prova è superata, ma mi sento
sempre più stanco ed ho una grande sete. Non vedo lora di partire ora al più
presto dal quel luogo tanto tormentato e mi lascio convincere a prendere un trasporto
semiprivato più rapido e solo un poco più caro del bus. E pomeriggio e commetto
lultimo errore della giornata, ma le cui conseguenze si riveleranno drammatiche.
5. Ma questo è un rapimento!
In mezzo alla strada si crea un capannello di persone che discutono
animatamente attorno ad un piccolo veicolo da trasporto di marca giapponese. Al centro un
autista indiano dallaria poco intelligente ma soprattutto confusa ed impaurita e ...
il sottoscritto. A fatica mi trattengo dallinfierire fisicamente sul
quellesserino tanto minuto quanto subdolo. Era quello dunque il degno coronamento di
una giornata catastrofica, iniziata con la simpatia dei funzionari doganali indiani, ma
proseguita con un confronto continuo e logorante con le amministrazioni e la burocrazia
locale, dai servizi ferroviari a quelli bancari. In precedenza, reduce
dallincredibile esperienza di inefficienza di una delle principali banche del
capoluogo del Bengala del nord, mi ero infatti lasciato convincere da un promotore di
servizi taxi collettivi ad utilizzare un piccolo e precario veicolo per raggiungere
Kalimpong, un grande villaggio al nord, sulle montagne alle porte del Sikkim. Stanco, i
nervi a pezzi e soprattutto assetato, avevo posto quale unica condizione di potermi
fermare al primo venditore ambulante o bazar per acquistare una bibita. Era infatti dal
mattino presto che non avevo ancora avuto lopportunità di bere ed a causa
dellopprimente calura cominciavo a risentire dei primi sintomi di disidratamento.
Incredibilmente però quel dannato autista era sfrecciato noncurante dei miei continui
richiami davanti a tutti i rivenditori di bibite, cosicché dopo quasi unora di
discussioni sempre più vivaci e di preoccupazione crescente per quello che poteva avere
tutte le sembianze di un rapimento, la situazione era degenerata e mi ero trovato
costretto a dover minacciare con una bottiglia vuota quellomino che pareva ignorarmi
completamente e che solo a quel momento si era deciso fermarsi. Mi accorgo ben presto
però che quello è il suo villaggio di provenienza, la maggior parte delle persone che si
avvicinano ai due adirati contendenti lo conoscono.
Un improvvisato tribunale di strada
La mia sorpresa è ancora più grande quando limprovvisato tribunale di strada
accorda tutte le ragioni al sottoscritto, facendo una severa romanzina allautista.
La sua reazione è quasi di sorpresa: forse non capiva perché mi ero adirato tanto per il
fatto che lui non aveva nessuna voglia di fermarsi! Ricevuto tutte le garanzie del caso
sulla persona del mio accompagnatore dagli abitanti del luogo, ivi comprese le autorità
locali pure esse intervenute - quanti problemi per una semplice bibita -, sgolata di gusto
una bottiglietta di soda di una nota multinazionale, finalmente riparto. Non mi separo
però dalla mia "arma intimidatoria", la bottiglia, che rimarrà per tutto il
viaggio accanto a me. Il suo uso non sarà necessario, in quanto in seguito mi ritrovo con
un autista molto accondiscendente a tutti i miei desideri che con molta lentezza mi
trasporta sempre più in alto. La strada infatti è alquanto dissestata, anche se molte
persone si adoperano sul percorso per il suo riallestimento, spesso osservate da scimmie
incuriosite dal movimento. Mi viene detto che degli inattesi temporali nei giorni
precedenti hanno reso la via alquanto precaria, gli acquazzoni sono la coda di un
terribile uragano che aveva devastato lo stato dellOrissa pochi giorni primi. Con un
poco di apprensione osservo a tratti il dirupo che finisce con un grande balzo nelle
pericolose acque del fiume sottostante. I paesaggi sono incantevoli: vallate impervie, una
vegetazione selvaggia e piccoli villaggi di coltivatori aggrappati sulle pendici delle
montagne. La fisionomia delle persone è cambiata e qui ritrovo nuovamente le sembianze
delle genti himalyane. In questi luoghi infatti sincrociano stirpi montane
differenti, da quelle nepalesi a quelle del Sikkim, da quelle di origine butanese a quelle
tibetane. Ritrovo la calma e la serenità persa nelle sfortunate peripezie della giornata
e mimmergo totalmente nella contemplazione di quelle regioni tanto remote quanto
splendide. Il veicolo fatica sempre più sugli irti tornanti, tanto che veniamo anche
superati dal bus locale, quello che avrei dovuto precedere di varie ore utilizzando il mio
trasporto semiprivato! Nel tardo pomeriggio appaiono le prime casupole di Kalimpong. Un
villaggio che si rivela essere una piccola cittadina arroccata in cima ad una vallata e
che mi accoglie con il caotico traffico delle sue stradine dove è sufficiente
lincrocio di due veicoli per causare un ingorgo. Ho limpressione di una
tranquilla località di montagna che sta recuperando a grande andatura tutti i valori
della civiltà occidentale, che però rischiano di soffocarla ben presto. Nel frattempo il
bel cielo blu si è oscurato, grossi nuvoloni sopraggiungono rapidamente, i primi
goccioloni cominciano a cadere, quando scendo frettolosamente davanti alla scalinata di
una pensione che mi era stata raccomandata. Guardo ancora con sconcerto e forse un poco di
pietà quello strano personaggio che mi aveva condotto sino lì e che solo due ore prima
cè mancato molto poco che malmenassi ... aveva infatti avuto ancora la faccia tosta
di chiedermi una mancia!
Ed ora anche la "coda" delluragano
Dopo pochi attimi il cielo si apre nel vero senso della parola, un temporale di una
violenza incredibile si abbatte sulla regione le cui infrastrutture già disastrate
faticano a reggere. Le strade dissestate in un attimo si trasformano in fiumi in piena ed
i tetti in cascate. Osservo quello spettacolo suggestivo e pauroso dalla finestra del mio
nuovo alloggio, una pensione di proprietà di una famiglia molto cortese di origine
tibetana. In pratica si tratta della loro casa nella quale offrono quattro letti ad
occasionali visitatori. Ci si trova così immersi nella vita della famiglia, mangiando
nella medesima cucina e sedendo nel medesimo soggiorno. Mentre attendo la cena
lanziana proprietaria prega nella stanza accanto. Mi racconterà in seguito di
essere fuggita dal Tibet al momento dellinvasione dellesercito cinese, ma che
ne aveva preservato la cultura e le usanze, nonché la fedeltà al Dalai Lama. Con lei
passerò lunghe ore a discutere, come pure troverò poi il tempo seguendo i suoi consigli
di perdermi tra le stradine ed i sentieri dei dintorni immersi tra campi di spighe dorate,
incontrando gente cordiale e potendo ammirare squarci di paesaggi e di vita locale
tranquilli e sereni. Il mio soggiorno sarà purtroppo molto breve, mi attende infatti il
treno per il quale con tanta fatica avevo acquistato un biglietto e che non intendevo
assolutamente perdere ... non avrei più potuto sopportare unaltra mezza giornata in
coda ad uno sportello biglietti. Questa volta è il bus locale che mi riporta verso le
piane bengalesi. Con orgoglio ero riuscito a riservare in anticipo il sedile numero uno,
accanto allautista, il quale mi osserva incuriosito quando salgo sul veicolo.
Capisco ben presto il suo sguardo: tra il sedile ed il vano motore non vi solo più di 15
centimetri, impossibile quindi nemmeno incastrarvi una gamba. Il viaggio di quattro ore
diviene così un piccolo esercizio di contorsionismo, mentre le brevi soste coincidono con
una benedetta occasione per testare la funzionalità dei miei arti. Avrò però in seguito
tutto il tempo di sgranchire le gambe nel corso del lungo viaggio in treno che mi attende.
A quel momento infatti pensavo che il viaggio in seconda classe cuccette indiana sarebbe
stato solo lungo, in pratica però mi renderò conto che sarà ... lunghissimo!
6. Col Darjeeling Mail verso Calcutta
Alla stazione di Siliguri, nel nord dellIndia, inizia la mia grande e nuova
avventura: lattraversata del subcontinente indiano in treno. Non so bene quel che mi
attende, ma dopo tutte le prove già vissute negli ultimi giorni penso che ben poco potrà
ancora veramente scuotermi. Il luogo è caotico, ad immagine e somiglianza della città
che circonda il capolinea della via ferrata. Mi trovo un poco disorientato, unico non
indiano perso tra il vociare e lenorme quantità di bagagli disseminata un poco
dappertutto. Mi sono rifocillato al ristoro della stazione. Lunico posto libero ai
tavolini del locale mi era stato rifiutato in un primo tempo da un commensale indiano di
cattivo umore, lintervento del cameriere aveva però rimesso in riga lasociale
cliente ... che dopo aver svuotato in fretta il suo piatto se nera andato senza
salutare. Io ero rimasto a mangiare con le mani il mio chapati - il classico pane indiano
rotondo e piatto - con unomelette, delle patate e le immancabili salse piccanti. Mi
si poneva ora la domanda di come decifrare la segnaletica per raggiungere il giusto treno
denominato Darjeeling Mail. Fatico a trovare persone che parlano inglese e quindi mi
affido ad uno dei portatori locali vestiti di una tunica rossa, che come lo guardo mi
prende al volo il sacco e se lo pone sulla testa. Gli mostro il biglietto e lui quasi mi
scappa via scavalcando persone e bagagli a gran velocità tra la penombra della stazione.
E ormai notte e non vedo lora di prendere possesso del mio posto sul vagone
cuccette di seconda classe. Capisco però ben presto che nemmeno il mio portatore è molto
in chiaro su dove andare, anche lui infatti chiede informazioni ad altre persone. Per
finire ecco il mio treno ed il vagone corrispondente al numero che è impresso sul
biglietto, incredibilmente sulla lista un poco pasticciata dei nomi dei passeggeri
incollata accanto alla porta, trovo un nome che non può essere che il mio. Invero gli
assomiglia solo vagamente ma è lunico con una fonetica decisamente non indiana.
Ma dove sono le cuccette?
Con sorpresa osservo il mio posto, un normalissimo sedile solo un poco imbottito. Mi
sincero che quello sia il vagone cuccette e ne ricevo una conferma da tutti i miei futuri
compagni di viaggio, che sono già comodamente installati e stanno cenando. Come avrò
infatti modo di meglio comprendere in seguito gli indiani hanno sviluppato una loro
raffinata cultura di viaggio per quanto concerne, organizzazione, alimentazione ed igiene.
I loro bagagli infatti celano cene preconfezionate, piatti, tovaglioli, ma pure pigiami,
coperte, necessair completi. Ogni viaggiatore malgrado lestrema promiscuità
conserva una sua caratteristica individuale.
Quando dopo due ore - con unora di ritardo quindi, ma in seguito mi renderò conto
che questo è il massimo della puntualità in questi luoghi - il treno parte non ho ancora
capito dove siano le cuccette. I sedili con in teoria tre posti da una parte ed
altrettanti dallaltra sono occupati da ben più persone. Nel mio caso mi ritrovo di
fronte unintera famiglia di cinque persone su due posti. Sono gentili e mi porgono
del cibo che assaggio appena, preferendo una delle tre banane che mi aveva ancora regalato
la signora tibetana presso la quale avevo soggiornato la sera precedente a Kalimpong. Il
capofamiglia che mi siede di fronte penso sia un poco ubriaco e mette in terribile
imbarazzo il figlio maggiore, al quale faccio cenno che non è un problema. Dopo
unora di viaggio avviene un fenomeno che si può tranquillamente definire
tecnico-logistico-sociale del quale tutti paiono essere molto esperti. Come se tutti
reagissero ad un segnale il vagone si trasforma: i bagagli vengono tolti dal piano
portavaligie in alto, gli schienali vengono ribaltati verso lalto ed agganciati con
grosse catene. Per ogni scompartimento - ma il termine è improprio in quanto non vi sono
divisioni - vengono così creati sei posti letto sui quali di comune intesa si suddividono
le persone. I più fortunati, come me, hanno un intero giaciglio a disposizione - in
pratica il sedile prima occupato da tre persone - altri sono in due, mentre per la
famiglia che viaggia con me le cose sono più complesse, ma poco dopo aver fatto un
toeletta ambulante accurata ed essersi anche messi un bel pigiama, si addormentano senza
problemi. Anchio crollo, dopo essermi bene assicurato di deporre i miei averi così
incastrati sotto il sedile, che ben difficilmente possano venire raggiunti da mani
indiscrete.
Si sa quando si parte ma ...
Al mattino mi risveglio forse più stanco della sera, ho mal stimato il caldo e pure sono
stato attaccato dalle zanzare, ma la sorpresa più grande consiste nel constatare che
praticamente nel corso della notte non ci siamo mossi. La stazione nella quale ci troviamo
deve essere a non più di una decina di chilometri dallultima da me vista prima di
coricarmi. Tutto ciò non preoccupa assolutamente nessuno. In India infatti si sa sempre
dove i treni vanno e che arrivano, quando e come è però decisamente lasciato al caso.
Tradotto nellesempio che sto vivendo significa che non sarò a Calcutta di primo
mattino, bensì nella migliore delle ipotesi nel tardo pomeriggio. Quindi non dodici ore
di viaggio, ma probabilmente una ventina. La mia stima - e sono certo di essere stato
lunico su tutto il treno sovraffollato ad averne fatta una - si rivelerà più che
esatta. Il giorno sarebbe infatti trascorso attraversando le piane del Gange a tratti
inondate, segnale che anche qui luragano che aveva seminato morte e distruzione
nello stato dellOrissa, aveva lasciato il segno. A Calcutta mi separo dai miei amici
di viaggio e la famiglia indiana, non prima di aver lasciato il mio indirizzo al figlio
che avevo avuto modo di meglio conoscere nel corso delle lunghe ore di viaggio dopo averlo
sorpreso fare dei bellissimi ritratti a matita delle persone che lo circondavano. Lascio
così il treno che mi era già quasi divenuto familiare per immergermi nella marea umana
della stazione di Calcutta, o meglio della stazione nella quale sono giunto perché quella
dove avrò la coincidenza per Madras è dallaltra parte della città! Ho le ossa
rotte dallo scomodo sedile, fa molto caldo e nel centro città mi attende il traffico
della sera. Ma non basta. Oggi inizia la festa del Diwari e trovo il piazzale antistante
la stazione affollato da migliaia di gruppi di percussionisti dagli abiti variopinti
giunti appositamente per la celebrazione con i loro grandi tamburi appesi al collo. Il
frastuono è infernale ma i ritmi che si sovrappongono gli uni agli altri costituiscono
unesperienza unica. Per un momento dimentico di avere davanti a me ancora un lungo
viaggio e sprofondo coi miei bagagli in quella suggestiva baraonda.
7. Il treno: la mia nuova casa
Manco a dirlo capito a Calcutta il giorno dinizio delle celebrazioni del Diwari e
lattraversata della città nel tardo pomeriggio si rivela impresa faticosissima.
Tutto pareva bloccato sia sulle strade che sui marciapiedi. A tratti scopro però una
megalopoli ben più accogliente di quanto mi immaginassi, con bei palazzi, giardini e
suggestivi bus in legno. Lultimo ricordo rimarrà purtroppo quel sole di un rosso
vivo, filtrato da una coltre di smog nera che attanaglia tutto lorizzonte e che
penetra nei polmoni. Prima di riprendere il treno mi concedo però una doccia, o meglio un
rito di ripulitura completo, in uno dei dormitori che sono spesso a disposizione nelle
grandi stazioni indiane. Quellacqua che cadeva così disordinatamente dal tubo di
condotta mi è parsa come una fragrante cascatella di un ruscello montano. Così come il
menu unico del ristorante della stazione - frittata con chapati, come ieri sera!- , dopo
gli stenti ai quali avevo costretto il mio stomaco in giornata, aveva saputo deliziare il
mio palato. Ora che anche le banane di scorta erano finite e mi aspettavo di poter
riorganizzare la mia riserva di sussistenza di viaggio proprio a Calcutta, ma le strade
intasate ed il ritardo non mi avevano concesso il tempo necessario per gli acquisti. Mi
salvo con un pacchetto di biscotti, alcuni frutti ed una bottiglia dacqua rimediati
al bazar della stazione ... e mi metto alla ricerca del mio prossimo treno.
Un uragano devastante
Questa volta l'impresa si rivela ancora più ardua che in precedenza. Il marciapiede
indicato dai tabelloni non corrisponde e le vetture sono sì numerate, ma in modo molto
disordinato. Un rompicapo che dopo aver percorso l'intero treno un paio di volte
risolviamo. Sì, risolviamo, perché con grande sorpresa, e piacere, incontro una coppia
di francesi di origine magrebina con i quali avrò l'opportunità di trascorrere i
prossimi giorni. Infatti quel percorso che non doveva durare più di una ventina d'ore si
trasformerà in un lunghissimo peregrinare per l'India. L'uragano che aveva investito con
furia devastatrice lo stato dell'Orissa solo pochi giorni prima, aveva reso impraticabili
centinaia di chilometri di strade ferrate ed il treno sarà quindi costretto ad un
percorso alternativo interminabile, molto lontano dalle coste, toccando regioni tra le
più isolate del paese. Malgrado ciò a tratti attraversiamo ancora delle località dove
le colture sono interamente sommerse dallacqua, i raccolti sono andati persi ed i
villaggi rimasti assediati dai flussi. Fortunatamente molte altre zone appaiono
risparmiate dalla catastrofe. I paesaggi sono variegati ed il lento incedere del treno
permette di osservarli e di scoprirne anche dettagli e curiosità: fiumi, risaie, ma pure
boschi e colline si susseguono, rivelando a sorpresa piccoli villaggi nascosti tra la
vegetazione. Casupole di terra rossa con tetti rotondi di paglia che quasi si confondono
tra i covoni nei campi. La vita qui trascorre tranquillamente, è un'India rurale e
povera, ma di immensa bellezza.
La pipì al ritmo della sirena
Ad intervalli regolari il lungo convoglio si arresta, a volte sembra senza alcuna.
Ogni fermata è una benvenuta occasione per sgranchire le gambe, assaporare da vicino la
vita di queste genti e con un poco di fortuna acquistare da loro un paio di banane; ma
soprattutto è unopportunità di usufruire di un servizio igienico all'aria aperta,
decisamente molto più consigliabile di quello dei vagoni. La sirena della locomotiva
annuncia l'imminente partenza quasi a voler dare al viaggio una certa ritualità. Quelle
che percorriamo sono vie al di fuori degli itinerari usuali e spesso le persone appaiono
sorprese dal treno. Lo osservano senza capire bene cosa possa farci quel lungo convoglio
dalle loro parti. Il rovescio della medaglia è per noi costituito, oltre dall'incredibile
allungamento del tragitto e dalla totale mancanza di qualsiasi informazione su tempi e
luoghi, dalle difficoltà di rifornimento. Le riserve alimentari già scarse in partenza
si assottigliano e presto si esauriscono pure le scorte di acqua potabile. Solo la
solidarietà tra i viaggiatori attenua un poco queste difficoltà e con impazienza
attendiamo di raggiungere una stazione maggiore. Intanto è già trascorsa la prima notte
che, grazie all'esperienza acquisita, si è rivelata molto tranquilla e piacevole.
Dove Ghandi vive ancora
La fresca brezza del treno in movimento e le stelle che sintravedono risplendere
nel cielo tra le grate del finestrino, ti danno una sensazione di pace. Indugio ancora il
mattino prima di rimettermi a sedere e di organizzare con gli altri viaggiatori la
sistemazione dei sedili per la giornata. Di loro ammiro la grande pazienza e la sincera
cortesia. Questo viaggio mi sta facendo conoscere l'India della gente piuttosto che quella
dei grandi monumenti e delle grandi religioni mistiche, ma è forse proprio in queste
persone che mi accompagnano in viaggio, nei cantori, nei venditori ambulanti, nei
mendicanti e in tutti quei volti che intravedo lungo il percorso, che Gandhi vive
veramente ancora. Questo treno all'apparenza sconquassato e sporco mi è ormai divenuto
familiare, mi ci sono abituato a tal punto che lo sento un poco mio. Mi sono familiari il
suo suono, i suoi cigolii, tutti i suoi interruttori, i suoi ganci, i vecchi ventilatori
ormai neri e mal funzionanti, le sue pareti scrostate, i suoi vetri da anni opachi e
queste sue panche appena imbottite. Quante persone si saranno già sedute su questo mio
posto, quanti chilometri di rotaia avrà percorso questo vagone che lentamente però
avanza ancora tra i fumi della locomotiva sbuffante, un fischio annuncia l'ennesimo
attraversamento di un villaggio o di una stradina.
Gli occhi lucidi: acqua!
Il viaggio prosegue nell'attesa sempre più impellente di un luogo ove sia possibile
trovare qualche alimento sino a quando verso sera ecco il piccolo miracolo. Tra le luci di
una stazione che raggiungiamo intravediamo un venditore ambulante con un carrettino ben
fornito e con addirittura delle bottiglie di soda. Il mio sguardo si incrocia con quello
dell'amico francese incontrato a Calcutta. I nostri occhi s'illuminano ed iniziano dei
lunghissimi secondi nel corso dei quali spasmodicamente speriamo che il treno si fermi. E'
così e ci precipitiamo fuori dal treno, non si sa infatti mai quanto lunghe siano le
soste. Corriamo fino al rivenditore, prendiamo le bottiglie e dei frutti e cominciamo a
ridere di gioia, siamo felici come dei bambini alla loro prima caramella. Se non avessimo
ormai le mani ingombre sicuramente ci saremmo abbracciati. Il viaggiare in India ti
permette anche di riscoprire e di vivere i piccoli attimi della vita! Poco dopo nel buio
del vagone due giovani ci fanno visita, tengono tra le mani un bicchiere che ci mostrano
con soddisfazione. Intrappolata vi è una lucciola, una tenue luce in un bicchiere e
tantissima gioia per i ragazzi che così hanno avuto un pretesto per poter parlare con
noi, di avere forse il privilegio di scoprire da dove veniamo e cosa facciamo prima di
altri viaggiatori.
8. Finalmente il sud dellIndia
Dopo due notti e due giorni di viaggio e soprattutto di vita trascorsa in questo spazio
così ristretto, ma nel quale accade di tutto, allorizzonte appare finalmente il
mare. E' lagognato segnale che il lungo e tormentato percorso alternativo attorno
alle zone alluvionate è concluso e che ci siamo finalmente ricongiunti con la via ferrata
principale. Qui inizia pure un susseguirsi di spettacolari panorami. Verdissime risaie,
piccoli idilliaci villaggi, palmenti a perdita d'occhio ed il mare blu, dal quale a tratti
giunge una benvenuta brezza che invade e rinfresca gli angusti scompartimenti del vagone.
Per raggiungere Madras occorreranno ancora molte ore, ma in tutti vi è la sensazione di
avercela ormai fatta. Risento un poco di tristezza perché quel treno era diventato molto
di più di un semplice mezzo di trasporto, era una dimora, mentre quelle persone che vi si
erano accalcate ed avevano condiviso con me il sonno, i pasti e la sete mi davano la
sensazione di essere quasi una piccola famiglia. Una riflessione certamente un poco
romantica, espressione di uno stanco viaggiatore di un vecchio e lentissimo treno - ho
calcolato che la velocità media si aggiri sui 20-25 km orari - che ad alcuni lettori
potrà apparire fuori luogo in un mondo dove sembrano dominare jet e computer. Di questo
mondo è pure il signore indiano che sedeva alcuni compartimenti più avanti, e col quale
avevo scambiato solo poche parole; lui se nera rimasto per tutto il viaggio a piedi
scalzi e vestito della sola tipica tunica bianca. Ora si stava però preparando per
l'imminente arrivo.
In treno: lincredibile toeletta indiana
Non so come, ma era riuscito a lavarsi completamente nella toeletta, dalla quale ne era
uscito ben profumato e coi capelli accuratamente pettinati. Veste dei pantaloni scuri ed
una camicia fresca e bianca. Dopo aver ben lucidato le sue scarpe, che erano rimaste
nascoste per tutto il viaggio in un borsone, sta ora addirittura lustrando con uno
straccio la cintura in pelle. Non manca che una civettuola attenzione riservata ai suoi
baffi e la trasformazione è completa. Un incredibile esempio di capacità di adattamento
degli indiani a queste condizioni per noi occidentali tanto estreme. Ed infatti mentre
tutti si "fanno belli" noi tre europei rimaniamo coi nostri pantaloni sporchi e
con le maglie fradice di sudore ad ammirare con invidia i compagni di viaggio. All'arrivo
ci si lascia con cordiali saluti, un cenno o una stretta di mano poco indiana anche con le
persone che forse non avevamo nemmeno notato sino a quel momento. Cadono le rimanenti
reticenze, si scambiano alcune parole, le ultime domande sulla prossima destinazione e
sulla nazione di provenienza e poi, in men che non si dica, ci perdiamo nella ressa della
stazione di Madras, la nuova grande città indiana che sto per scoprire.
Chennai? Tranquilla ... anche i servizi
Chennai, questo è il nome indiano di Madras, mi sorprenderà non poco. Vi trovo un
ambiente molto meno caotico delle altre metropoli indiane conosciute sino ad ora. Anche la
gente sembra vivervi meglio, più tranquillamente e forse meno aggressivamente. Ho subito
la sensazione di una maggiore sicurezza e di persone nei confronti delle quali si può
essere meno diffidenti. Ma si tratta solo di impressioni superficiali di un breve
passaggio nella capitale dello stato Tamil, il Tamil Nadu, che fatalmente si concluderà
... alla stazione per lacquisto dellultimo biglietto.
Qui vi è addirittura un ufficio, invero un poco squallido, riservato agli stranieri che
risulta essere poco frequentato e guarda caso ... chiuso. O meglio, inizialmente vi trovo
una signora che riordina dei documenti, ma ben presto se ne va. Ritorna dopo poco in
compagnia di un'altra inserviente con la quale si attarda a discutere tranquillamente.
Osservo con uno sguardo interlocutorio le poche altre persone che attendono pazientemente
sedute, ma non succede niente. Non essendo io il primo della fila mi permetto di domandare
a chi mi precede se forse non è il caso d'informarsi se siamo veramente al posto giusto e
quando aprirà effettivamente il servizio. Io ci provo, mi reco quindi dalle due signore e
chiedo loro chiarimenti. Con sorpresa, una di esse mi prega con estrema cortesia di
accomodarmi e mi chiede dove sono diretto. L'ufficio infatti era sempre stato aperto, ma
lei non si era assolutamente preoccupata di quelle persone che erano li ad osservarla
ordinatamente in fila! Sono ancora oggi convinto che limpiegata allora mi fu
enormemente grata per aver mostrato anche agli altri come dovevano comportarsi per
ottenere il biglietto.
Cochin: un intenso profumo di limone
La stanza profuma intensamente di limone, i soffitti sono alti e gli spazi angusti
degli ultimi quattro giorni trascorsi in treno, paiono già come un lontano ricordo. Con
l'ultima notte di viaggio sul convoglio che mi ha portato da Madras a Cochin si è così
conclusa la grande avventura sulle vie ferrate indiane. Dietro di me oltre 3000 km di
viaggio in treno, tanti ricordi e soprattutto la sensazione di aver vissuto l'India della
gente. Il contrasto appare quasi surreale a contatto come mi trovo ora con la pace del
vecchio porto di Cochin, che raggiungo a piedi in pochi minuti dopo aver lasciato il mio
nuovo alloggio: una bellissima casa in stile coloniale nascosta da una folta vegetazione
tropicale e tanto ricca di mobili depoca da poter quasi venire considerata un museo.
Le canoe dei pescatori si allontanano dalla costa accompagnate a tratti da delfini, mentre
a riva gigantesche reti vengono lentamente e silenziosamente immerse in acqua con
lausilio di pesanti argani manuali, manovrati con sapiente esercizio di gruppo. Un
metodo di pesca che sa di ancestrale e che mi incanta. Il movimento sembra ripetersi
allinfinito: reti calate e quindi sollevate dopo poco tempo grazie ad un semplice ma
ingegnoso meccanismo che sfrutta il principio delle leve, utilizzando dei grossi macigni
appesi all'estremità e supportati da un duro sforzo muscolare degli uomini. Lo spettacolo
prosegue per ore e ad ogni tornata un piccolo secchio si riempie di pesce. Gesta ripetute
per secoli, migliaia, forse milioni di volte; quanti pesci, quante ruvide mani, quanti
visi sudati avranno visto quegli arcani ed ingegnosi meccanismi. Il pesce lo si può
acquistare subito ed è facile trovare una cucina ambulante disposta a cuocertelo ... una
leccornia che non intendo perdermi.
9. La birra nella caraffa del te
"More tee sir" (ancora una tazza di te signore?), mi chiede il cameriere con
un'occhiata furba ed un sogghigno ed intanto mi riempie con un goffo abbozzato stile
anglosassone la tazza. Noto una signora che divertita assiste alla messinscena, anche lei
ha sul tavolo una caraffa ed una tazza. Non stiamo però bevendo del te, che peraltro è
molto buono qui, ma della birra fresca (in tazza!). Infatti il ristorantino che si
affaccia sulla laguna non ha la licenza per gli alcolici ma i solerti inservienti non
mancano di far furbescamente notare ai clienti che tutto è possibile ... se lo
desiderano. Si conclude così una giornata trascorsa alla scoperta delle caratteristiche e
tranquille stradine di Cochin, unaccogliente cittadina dello stato sud indiano del
Kerala, situata su di unisola poco lontana dalla costa, le cui case in stile
orientale coloniale ed alcuni monumenti lasciano trasparire una intricata storia passata.
Qui vi si incontra infatti la tradizione indiana ma pure una cultura multietnica, mentre
splendidi scenari naturali si aprono ovunque lo sguardo si posa.
Katakhali, ovvero il mistero
Gli abiti, le maschere ed il trucco degli attori sono il risultato di un paziente e
complesso rito di preparazione. Il Katakhali è una danza tradizionale locale, le cui
radici affondano in tempi lontani e nella religione. Al ritmo di strumenti di percussione
e di canti, esalta la mimica del corpo, delle mani e particolarmente quella facciale, in
grado di riprodurre stati d'animo incredibili. E' uno spettacolo che con lentezza ti
prende per mano, quasi ti ipnotizza ed alla fine ti seduce. Gli attori - le cornee degli
occhi arrossate da poche gocce di una sostanza stimolante - padroneggiano con maestria il
proprio corpo che in lunghi anni di preparazione hanno portato a riscoprire funzioni ormai
perse nel tempo. Fronte, guance reagiscono a spasmi e contrazioni quasi irreali, mentre
gli occhi paiono muoversi con impressionanti tremori indipendentemente gli uni dagli altri
ed i toni di voce degli attori toccano sonorità gutturali che appaiono non appartenere a
questo mondo. Questo è l'ultimo ricordo, lultimo misterioso brivido che mi affida
Cochin in una serata calda ed afosa, con solo poca brezza proveniente dalla laguna, prima
di raggiungere le immense zone costiere, che si sviluppano in un intreccio di canali tra
verdi risaie ed interminabili palmeti: sono i Backwaters.
Backwaters segreti con Pavitran
Pavitran ha un viso scarno ed amichevole, vive da sempre tra gli intricati canali dei
Backwaters. Conosce gli specchi d'acqua ed i villaggi che vi si affacciano come le sue
tasche e molto volentieri mi invita ad esplorarli in sua compagnia. Nel silenzio delle
prime ore del mattino la canoa scivola con un fruscio quasi impercettibile sulle acque
dove la vita lentamente si risveglia. Sui canali e sulle sponde infatti si svolge tutta la
giornata delle genti di questi luoghi: dal bagno del mattino, alla pesca, al trasposto di
ogni genere di mercanzia, al recupero dell'argilla che viene poi utilizzata per costruire
le abitazioni. Dallacqua emerge allimprovviso unanziana signora, gonfia
i polmoni e con uno sguardo dolce mi mostra con orgoglio delle piccole conchiglie raccolte
sul fondale del canale, le depone in un cesto e poi scompare nuovamente nelle acque scure.
Ovunque incontro visi sorridenti ed amichevoli, così come a casa di Pavitran, dove
conosco la cordiale moglie e le figlie con rispettive famiglie che vivono tutte su di un
piccolo lembo di terra nascosto sotto i palmeti. Mi offrono due noci di cocco per
dissetarmi ed una comoda poltrona in bambù allombra di una tettoia nel momento più
caldo della giornata quando i raggi del sole, che invero la mattina erano stati rari,
proprio sul mezzogiorno picchiano con violenza sulle acque dei canali. Sono giorni quelli
trascorsi nei Backwaters vissuti in attimi fuggenti, immagini rubate tra la vegetazione,
sorrisi incontrati, saluti dei bambini.
Lultimo villaggio di pescatori
Visi e sguardi cordiali che ritrovo anche sulla costa, nei pressi di un villaggio di
pescatori di religione musulmana che si affaccia sull'oceano indiano, nel quale trascorro
gli ultimi giorni di viaggio. Lo stato del Kerala è infatti un crogiolo di stirpi e
religioni diverse, che paiono convivere da secoli senza grandi traumi. La pesca viene
condotta ancora secondo antiche arti tramandate per generazioni. Vi partecipano tante
piccole imbarcazioni di supporto - rozze canoe appena abbozzate ricavate da un unico
tronco d'albero - ed una più grande, pesantissima e quasi maestosa, mossa a forza di
braccia da molti abilissimi rematori che seguono ritmi di sordi tamburi e gli ordini del
capo pesca. Da qui vengono gettate le lunghissime reti e quindi, con una sapiente manovra
a semicerchio, tutte le imbarcazioni ritornano a riva, su di unampia spiaggia
dominata da irti scogli che in precedenza è stato necessario discendere attraverso
pericolose vie. Fa caldo ed il sudore inzuppa i fazzoletti legati attorno al capo, le
interminabili e pesanti reti vengono tirate a riva a forza di braccia. Ore di fatica per
forse un raccolto che non è più quello di un tempo, ma che è ancora sufficiente per
soddisfare le modeste esigenze di queste genti.
Nudo immerso nellolio
Il Dr. Manoj mi versa quasi ritualmente un denso olio vegetale tiepido sul capo e con
gesti rituali inizia un lento e sapiente massaggio del cuoio capelluto prima e quindi del
viso, della nuca e man mano di tutto il corpo. Le sue dita agiscono sui "marma",
i punti vitali del corpo. Olii dagli odori penetranti e diversi scivolano sempre più
sulla pelle, è lIndia coi suoi misteri che pare volersi impossessare del mio corpo
e del mio spirito. Sono sinceramente contento che qui non vi siano specchi che mi
permettano di vedere la mia espressione nel momento nel quale provo una sensazione
sicuramente simile a quella di una sardina sottolio. Sdraiato nudo su di un asse posto in
una capanna di bambù e giunchi, vengo sottoposto ad una cura Ayurvedica, la tradizionale
medicina curativa del sud dell'India. Un massaggio terapeutico che utilizzando oli diversi
e metodologie di trattamento muscolare molto raffinate - dalla riflessologia, a trazioni,
al classico movimento di massaggio muscolare - mi prepara per l'ultimo viaggio: quello del
ritorno a casa. Quei 4000 km che alcune settimane or sono erano solo un tragitto tracciato
su di una cartina, ora sono ricordi, sensazioni, odori, passioni, rabbie, ma pure
tantissime gioie. Addio quindi ai trasporti dissestati ed alle montagne del Nepal, addio
ai treni indiani, lenti, imprevedibili, ma che ti portano sempre alla meta, addio ai
palmeti del magnifico sud indiano ... ma no, cosa dico, forse è solo un arrivederci.
Fine.
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