inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati
inviateci le vostre
vi siamo grati |
Ritorna al sommario principale Strade d'Africa: Nairobi - Zanzibar racconto di viaggio a puntate che appare anche sulle pagine della rivista Illustrazione ticinese di Roberto S. Se non avete ancora letto le puntate precedenti cliccate qui. Introduzione: Zanzibar, luogo di mistero, di magia, di sensualità, di profumi e gusti esotici. Qui si concluderà il viaggio lungo le strade dAfrica. Rimangono i ricordi degli incontri con i maasai, delle prime e forse inquietanti conoscenze di Nairobi, delle lunghe ore trascorse sugli scomodi matatu ed ora quelli delle ultime giornate vissute alla scoperta di questisola a cavallo tra Oriente e Continente africano. 5.Alì e le donne velate Dietro
il pesante ed imponente portone intarsiato ritrovo come sempre Ali, il ragazzo
responsabile del ricevimento della piccola pensione nella quale soggiorno. Si rivolge a me
in kiswahili - la lingua locale- e si attende conferme sui progressi da me fatti nella
consueta lezione della sera precedente. "Naweza kusema kiswahili kidap", gli
dico - parlo solo un poco di kiswahili- e lui pare accontentarsi. Già nel corso delle
diverse settimane trascorse in Africa avevo avuto modo di assimilare molte parole della
lingua locale ma era stato appunto lincontro con Alì che mi aveva dato lo sprone
finale. Cocciuto e perseverante si ostinava nel volermi introdurre di forza negli usi e
costumi locali, raccontandomi, spiegandomi e facendomi appunto pagare il pedaggio delle
lezioni linguistiche. Confesso che i progressi fatti in pochi giorni mi avevano riempito
di un certo orgoglio, tanto che mi ero ritrovato a parlare in kiswahili da solo tra i
locali di quella pensione dalle fattezze così orientali e tanto arabe che mal si
associavano a quellidioma tipicamente africano. Zanzibar mi stava così assorbendo,
i suoi ritmi ed i suoi suoni mi riproponevano un mondo che pensavo appartenesse al
passato, ma che nelle notti calde ed umide, nella misteriosa penombra dei vicoli pareva
essere ancora vivo. Ed accadde proprio una sera che incrociai sulla via del ritorno al mio
alloggio due ragazze dal viso velato e con sari nero. Al sorriso letto negli occhi segue
un saluto amichevole, una voce familiare che riconosco in quella dellassistente di
Ali. Con mia grande sorpresa mi invitano a seguirle al parco dove ha luogo una festa
locale e dove vi è la possibilità di gustare diverse specialità della cucina isolana.
Nella normalità islamica di Zanzibar può quindi accadere anche di venire invitati da due
ragazze velate ed in seguito di ritrovarsi in mezzo ad un gruppo di giovani, sdraiati sul
prato del parco centrale che si affaccia sul mare, a parlare del proprio paese del quale
si cominciava forse a dimenticare lesistenza. Nelloscurità tutto appare più
sfumato, le fisionomie nascondono i veli, le ombre accomunano i colori della pelle, la
notte stellata è la stessa da ogni luogo la si ammiri. Anche le varie pietanze che mi
porgono e che assaggio con curiosità paiono essere in sintonia con lambiente, i
loro aromi forti che invitano a riflettere su quale combinazione di spezie sia stata
usata, si fondono con gli intensi profumi che il vento trasporta e diffonde ovunque. Queste sensazioni, questi profumi mi seguiranno anche sulla costa orientale
dellisola di Zanzibar dove mi imbatto casualmente in un gruppo di giovani rasta i
quali, vista la mia difficoltà nel trovare un alloggio nella località nella quale ero
capitato, mi invitano in una loro piccola comunità. Parlare di comunità è forse
esagerato, infatti si tratta di due piccole e spartane capanne dal tetto di foglie di
palma nelle quali si ritrovano occasionalmente nel corso della giornata, per poi sparire
quasi tutti la sera. Dove andassero non lho mai capito, ma per finire non mi
dispiaceva ritrovarmi a pochi passi dal mare, perso in quel palmeto infinito, in sola
compagnia di una cane magretto e decisamente bastardino che aveva reagito alle mie
attenzioni con una fedeltà ed unamicizia che aveva fatto di lui la mia ombra. La
notte mi faceva la guardia davanti alluscio, segnalando fedelmente ogni movimento,
il giorno mi accompagnava nelle mie lunghe camminate o curava i miei abiti quando mi
concedevo un bagno ristoratore in uno splendido mare turchese. Dal mio piccolo ma
privilegiato osservatorio, costituito dalla veranda della capanna, osservo la vita delle
persone del luogo scorrere come in una pellicola dai magici colori. Tra le palme, sulle
strette piste lungo il mare, intravedo le donne con carichi di legna sulla testa, giovani
in bicicletta che tornano dal lavoro nei campi, il lento andirivieni verso il pozzo con
bottiglie ed anfore. Spio anche il vecchio pescatore che si allontana ogni mattino con la
sua piccola canoa, nella quale depone una grande cesta di corde di fibra naturale
intrecciate: un ricordo di anni nei quali il mare era forse più generoso. Oggi la pesca
risulterà meno misera del solito: tre bei pesci che costituiranno il pasto della sera.
Come sempre la cena è in comune, con un unico piatto dal quale ognuno attinge con le mani
il suo cibo: una manciata di riso con patate, verdure e le solite spezie per una salsa
fortemente aromatica. Il tutto cucinato a turno sul fuoco da uno dei miei nuovi amici in
casseruole informi ed annerite. Tutti paiono essere molto abili nellarte culinaria.
Unico punto di disaccordo era costituito dal pancake del mattino, che si ostinavano ad
arricchire abbondantemente con cipolle, mentre il sottoscritto si permetteva di
modificarne il gusto con laggiunta di un poco di zucchero. Una differenza di palato
che costituiva ogni sera motivo di discussione ed ilarità, ma che in fondo era un modo
come un altro per parlare di noi, delle nostre abitudini, dei nostri paesi, mentre il
fioco lume della vecchia lampada a petrolio andava spegnendosi. Cè unAfrica meno nota, quella non riprodotta sui depliants delle agenzie di viaggio e nemmeno quella, affamata e guerriera, delle cronache inquietanti dei telegiornali. Esiste un paese che pulsa di vita comune, nelle grandi città ma pure nelle savane, unAfrica di africani come tanti, con maasai ma pure simpatici tassisti e tanti personaggi sorprendenti che ho voluto conoscere e scoprire con questo viaggio sulle strade tra Nairobi e Zanzibar ... 1. Nairobi, Kenya: pole pole Kihagi è il nome del tassista che nella notte percorre le strade poco sicure dei sobborghi di Nairobi e che la fortuna ha voluto incontrassi ancora in servizio allaeroporto. E toccato a quel suo sorriso accattivante e a quel suo sguardo gentile darmi il benvenuto sul suolo africano. Nel buio corre via sicuro con la sua auto un poco sgangherata. Mentre percorriamo nel silenzio e nellanonimato i primi quartieri della grande metropoli del Kenya laria è umida ma il caldo ancora sopportabile. Esitante, quasi temesse di importunare, Kihagi mi da a bassa voce i primi consigli: mi mette in guardia sui pericoli dei quartieri di centro città. Infatti non mi sta conducendo in uno dei tanti grandi alberghi per uomini daffari e turisti, bensì in una piccola pensione, perché gli ho chiesto di voler conoscere lAfrica vera, la sua Africa, quella delle persone come lui, che in mezzo alla notte ancora lavorano per pochi soldi per mantenere una famiglia numerosa. Kihagi ne è felice e forse un poco orgoglioso. Si accomiata da me davanti al bancone della reception della pensione, con un gesto di saluto sparisce nella notte lasciandomi come ricordo solo lintenso odore di sudore della sua camicia sgualcita. Lalloggio che mi mostra il solerte inserviente è spartano ma pulito, le finestre
con inferiate e sul pianerottolo incontro pure due cordiali addetti alla sicurezza. Col
sole del giorno seguente ritrovo i tipici colori, i ritmi ed i profumi dellAfrica.
Le vie deserte e quasi lugubri della notte si sono riempite di abiti sgargianti, di bus
rumorosi, di frutta fresca venduta su bancarelle, di musica locale proveniente dalle tante
cassette pirata vendute ad ogni angolo. Dalla vetrata del ristorante ammiro con curiosità
quel mondo così diverso nel quale non ho fretta di tuffarmi, la prima lezione che mi ha
dato infatti il tassista nella notte è il "pole pole", cioè piano, senza
correre, perché qui il tempo ha un altro valore. Tutto in effetti pare avere una
dimensione diversa. Ora fuggo però da tutto ciò, lascio una Nairobi anonima, rumorosa, assillante nei
suoi venditori di safari e nei suoi accattoni, nella quale ad un tavolino di una pizzeria
può capitare dincontrare un gay che ti racconta di essere appena stato abbandonato
dallamico, oppure un rifugiato sudanese che ti si propone per qualsiasi lavoro tu
gli chieda, non vuole infatti dei regali, lui non è un accattone. Le strade paiono operose, ma nel medesimo tempo tranquille, la gente del luogo le
riempie di primo mattino, vi espone sui marciapiedi o su rudimentali calessi ortaggi e
frutti freschi, tessuti ed oggetti da lavoro. Sullo sfondo vigila il cono del monte Meru,
4556 metri. Ad Arushia non è difficile arrivarci. Anche se la località è piccola vi è
un aeroporto e vi giungono molti safari organizzati a Nairobi se non addirittura a Dar el
Salaam. Da qui infatti si raggiungono molti splendidi parchi nazionali e non sorprende
quindi che in questo luogo tutto ruoti attorno ai safari. Un poco sorprese sono invece le
persone locali che incontro ed alle quali dico che io sono solo di passaggio e che sto
percorrendo la tratta da Nairobi a Dar el Salaam per meglio conoscere lAfrica della
gente ... per gli animali avrò tempo in un altro momento. Ma nella regione mi fermerò
comunque più a lungo del previsto. Non solo perché mi lascerò tentare anchio da
un mini safari che si trasformerà in unavventura dai risvolti sorprendenti e
tuttaltro che rilassanti, ma pure perché incontro Robert, un giovane africano di
corrente "rasta" - quelli insomma tutto treccine e reggie - sveglio, con
occhiali da sole a specchio e che sa tutto di tutti, ma al quale ancora nessuno aveva sino
ad oggi chiesto come vivono i maasai della regione, nei loro poveri villaggi discosti e
persi nella savana, che però vedono sulle loro teste gli aviogetti che trasportano i
turisti alla ricerca dellemozione della foto al leone. Un sordo rumore di motore in lontananza risveglia le mie speranze. Da ore infatti attendo con un accompagnatore un fantomatico nuovo veicolo per proseguire il safari nella riserva. I ricordi del giorno precedente sono ancora freschi così come le emozioni provate alla vista degli splendidi paesaggi e per il contatto ravvicinato con animali al pascolo liberi e selvaggi e questo non fa che rendere lattesa ancora più spasmodica. Grande è la sorpresa quando vedo il veicolo: un fuoristrada gigantesco, i sedili foderati di velluto rosso, bene imbottiti e quasi lussuosi, pare incredibile che tutto ciò sia per me solo. Ma è realtà e lo sarà per tutta la giornata, fino a quando monterò nuovamente la mia tenda ... tutto solo. Capita infatti che verso sera venga depositato ai margini della riserva, non molto lontano da un lodge del quale vedo le luci. Mi viene detto che il veicolo dovrà venire nuovamente cambiato e che posso attendere li fino al giorno seguente. In quel luogo non paiono infatti esserci pericoli in quanto sono appunto ai margini della riserva. Ed è vero tutto ciò, non fosse per il fatto che io lo so che sono al di fuori della riserva, loro anche, ma gli animali sono proprio bene in chiaro di dove sia il confine? Decido quindi, dopo essere stato malgrado le mie rimostranze praticamente abbandonato,
di avvicinarmi per lo meno al lodge e di allestire la mia piccola tenda nei pressi di un
grande albero che mi da con le sue ampie fronde un poco di sicurezza. Ben presto ricevo la
visita di un inserviente del lodge al quale racconto la mia strana storia che lo
meraviglia e lo insospettisce non poco, mi conferma però anche lui che nel luogo dove ho
messo la mia tenda non vi sono pericoli e che gli animali sono lontani. Sono forse un
credulone, ma gli concedo la buona fede. Ricevo pure dellacqua calda: il risultato
di un semplice quanto efficiente forno a legna nel ventre del quale viene scaldata
lacqua del pozzo. Piove nella notte e ciò contribuisce a darmi una sensazione, rintanato come sono nella mia piccola tenda, in se stupenda, di totale isolamento, di simbiosi magica con la natura. Le sorprese giungono al risveglio, infatti come apro la cerniera della tenda e vengo abbagliato dalla penetrante e chiara luce del mattino non credo ai miei occhi: una giraffa sta tranquillamente facendo colazione con le foglie del "mio" albero e solo poche decine di metri più lontano un elefante se ne sta li a pacificamente dondolare la sua proboscide. Mi verrà detto in seguito che aveva pure divelto una staccionata del lodge. Per fortuna che gli animali non dovevano mai uscire dai confini della riserva ... Nel corso della giornata mi ritrovo a meditare su di un sasso "panoramico",
un magnifico monolito di parecchi metri sul quale mi sono arrampicato e che si erge non
lontano dalla riserva, ma come detto il concetto di confine mi appare sempre più vago e
quindi sono contento di essere un poco più in alto, qui bufali ed elefanti non ci possono
arrivare, tuttalpiù potrebbe arrampicarvisi un qualche leone, ma quelli non dovrebbero
proprio esserci ... e questo credo sia proprio vero. Assaporo così dallalto i
paesaggi, scorgendo occasionalmente in lontananza animali al pascolo: giraffe, elefanti e
bufali, questi ultimi sono decisamente gli ospiti più pericolosi a causa delle loro
imprevedibili reazioni. Penso sul fatto che nessun veicolo si sia più fatto vivo e che
quindi in pratica sia stato effettivamente abbandonato in questa riserva della quale,
malgrado le disavventure, o forse anche proprio per quelle, mi sono in un certo senso
innamorato. Ed ora ne sono contento, ho infatti ancora delle provviste, ho la tenda e gli
utensili e posso decidere io fino a quando rimanere. La compagnia non manca nemmeno quella
e varia dai vari inservienti del lodge che mi hanno un poco adottato, alle solite noiose
scimmie, ad occasionali giovani pastori, con tipiche calzature ricavate da vecchi
copertoni dautomobile, che mi invitano a mangiare del mais fritto sul fuoco. Dopo una serena notte di luna piena il furgoncino che regolarmente rifornisce il lodge
mi offre lopportunità, non senza un poco di tristezza, di lasciare questo splendido
luogo e di riprendere finalmente il cammino. Ritrovo così il mio ritmo di viaggio e
lAfrica "vera" che cercavo. E Africa che sincontra sui vecchi
e precari matatu - un mezzo di trasporto tra il furgone e la jeep con dure panchine e
sempre strapieno ... altrimenti non parte -. Sono i matatu che collegano le zone più
discoste e che costituiscono la vera ossatura del sistema di trasporto locale, mentre i
bus vengono utilizzati solo su lunghe tratte e sulle strade principali. Questultimi
corrono a velocità folle, incuranti di animali e genti e non rallentano nemmeno in
prossimità dei villaggi. Accade così di trovare un selciato ricoperto di stracci su
varie decine di metri: il gesto di pietose mani africane per ricoprire i poveri resti di
una persona investita e smembrata brutalmente dallurto. Un momento di sconforto
minvade e nuovamente lAfrica mi ripropone i suoi valori così diversi. Il
viaggio verso est prosegue attraversando poveri villaggi dalle case di terra rossa,
piantagioni di sisal, mais e con lavvicinarsi della costa immensi palmeti e foreste
verdeggianti. Ai bordi della strada si possono incontrare curiose scimmie, lucertoloni
colorati ma pure inquietanti serpenti. Poi ancora savana e rari baobab, che si alternano a
capannelli di persone che pazientemente attendono un mezzo di trasporto. Ad ogni arresto
è una ressa immane, una lotta per accaparrarsi un posto che però mai trascende ed
avviene sempre nel rispetto reciproco. Una testa mi tocca le ginocchia e con sconcerto mi
accorgo che si tratta di un invalido, le gambe mozzate allaltezza delle cosce, sotto
le quali è stato fissato un rudimentale asse, così come dei legni sono legati alle mani,
il suo unico mezzo di propulsione. E riuscito anche lui a trovare uno spiraglio in
quel angusto veicolo e lo aiuto a sedersi sollevandolo quasi di peso. Provo una grande
pietà, ma il suo sguardo mi mette a mio agio, mi sorride e nelle ore successive di
viaggio tenteremo di instaurare un impossibile dialogo fatto di molti gesti e poche
parole. 4. Dai Monti Usumbara ... Sul percorso che porta dal centro della Tanzania fino alle coste dellOceano indiano si costeggiano i monti Usumbara, un rilievo montagnoso allapparenza di poco interesse e che divide in pratica la Tanzania dal Kenya. Decido di farvi tappa e con il consueto matatu risalgo una strada tortuosa che termina al capoluogo Lushoto, un villaggio di case dargilla spesso internamente annerite dal fumo e dal carbone utilizzato per riscaldarle. Il tempo è infatti cupo e laltezza fa in modo che la temperatura sia scesa bruscamente rispetto alla Rift valley ed alle sue savane che si possono ammirare a strapiombo dai punti più alti della vallata: uno spettacolo veramente mozzafiato! Con i caldi raggi di sole che occasionalmente bucano le basse e scure nuvole, la vegetazione improvvisamente risplende, il verde si fa vivo ed il capoluogo con le sue molte casupole di terra rossa ed i tetti in lamiera sembra rivivere. Sono i momenti ideali per delle camminate che fatalmente portano a perdersi tra stradine e sentieri sui quali è facile imbattersi in allevatori con piccole mandrie o in donne dagli abiti sgargianti sulla via del mercato. La sera il conto al modesto ristorantino che mi rifocilla mi viene portato su di un
piattino di metallo: un pezzettino di carta con scritto limporto da pagare,
strappato sempre dal medesimo foglio che probabilmente, vista la bassa frequenza della
clientela, durerà ancora per molti giorni. E il desiderio di dare un certo
prestigio al servizio, anche se la gentilezza e la calorosa accoglienza che mi viene
riservata ogni giorno vale più di ogni tentativo di imitazione di maniere anglosassoni
riminiscenze del passato. Le giornate si concludono come sempre alla ricerca di un secchio
di brace e di alcuni ceppi di legno che possano rinvigorire il fuoco del mio modesto
alloggio, sulluscio del quale indugio spesso ad assaporare gli odori dei campi ed i
suoni che provengono dalla foresta vicina, poco oltre il tranquillo fiume nella vallata. A Tanga, sulla costa, lambiente è molto diverso. Si respira un poco di mondanità in una cittadina dal passato certamente più illustre del presente, come lasciano immaginare oggi i monumenti dei tempi coloniali e le strutture architettoniche delle case ricche di arcate e suggestive balconate. Sul mare si può assistere ad un intenso andirivieni di navi verso un porto che però ha sicuramente perso molto del suo splendore. Il tempo trascorre un poco annoiato nella città portuale non lontano dal confine col Kenya, tra la sonnolenza che vi si respira nelle calde vie il giorno e le rare animazioni ed attività serali. Le giornate si concludono spesso nei bar locali che offrono lopportunità di interessanti incontri, giocando alle freccette, bevendo uno dei a dir la verità poco digeribili liquori locali, oppure ancora lasciandosi prendere dai ritmi dellonnipresente musica africana, il soukous, il wengue che accompagnano spesso balli dalle connotazione fortemente erotiche. Anche il mio alloggio è ora decisamente più dignitoso ed addirittura vi è lacqua calda! E però una gioia di breve durata quella della doccia, in quanto ciò che mi è stato promesso dal portiere è effettivamente vero, da quel tubo un poco informe fissato al muro scende proprio acqua calda, ma solo calda! Questo significa che dopo pochi secondi di apertura del rubinetto non risulta più praticamente possibile fare una doccia a meno che non ci si voglia ustionare ... manca infatti totalmente lacqua fredda! Non migliora di molto nemmeno la situazione nella capitale Dar el Salaam, che raggiungo
dopo un un lungo viaggio attraverso unAfrica genuina. Il nuovo alloggio ha il
vantaggio di essere poco lontano dal porto dove mi imbarcherò sul traghetto in direzione
di Zanzibar e lo svantaggio della vicinanza alla moschea. Ciò significa che il muezzin mi
grida cinque volte al giorno quanto Allah sia grande, la prima volta alle cinque del
mattino! Ma se il primo impatto con lIslam è un poco brusco tutto cambierà a
Zanzibar. Quando il sole cala ed il cielo sinfuoca la terrazza dellAfrica House Hotel
diviene il punto di ritrovo dei viaggiatori che vi giungono puntualmente al tramonto per
scambiare impressioni, esperienze e consigli. Un luogo di mondanità locale ai margini di
una Zanzibar che cela però ancora tutto il suo mistero. E infatti sufficiente
perdersi nel labirinto costituito dalle sue strette, decadenti e suggestive viuzze, per
scoprire ad ogni angolo immagini che paiono aver resistito per secoli senza che il passare
degli anni abbia saputo modificarle. Bazar con ogni genere di spezie dagli odori
intensissimi, donne velate che attraversano sfuggenti le corti, uomini che ti spiano dalle
finestre, occhi scuri che ti studiano senza lasciar trasparire alcuna emozione. Voci che
rimbalzano da un uscio allaltro, grida di bambini ed abbaiare di cani: suoni che si
confondono, misteriosi, tanto che ora il richiamo alla preghiera del muezzin mi appare
ancora come il suono più familiare. Qui sì che lislam pare vivere interamente il
suo fascino, anche se la sonnolenta, ma al tempo stessa laboriosa vita della cittadina
sembra sfuggire pure ai ritmi dettati dalla religione. Accade così che pure le parole del
muezzin paiono perdersi nel vento e che pochi o nessuno danno limpressione di
volersi rivolgere a loro volta ad Allah. Ci vuole uno dei consueti brevi ma violenti
acquazzoni tropicali per smuovere dal torpore queste vie. In un attimo ci si ritrova così
quasi soli, con le spalle appiccicate ad un muro, cercando riparo sotto una balconata che
ancora ha preservato i suoi lussuosi intarsi, le sue arcate in stile orientale e che col
rumore incessante delle gocce dacqua ti invita a sognare, a ripercorrere una storia
millenaria a cavallo tra oriente, occidente ed Africa nera.
> |