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al sommario principale Racconti d'America . Nel cuore del Centroamerica
(Roberto - serie) Magie delle Ande di Gabriele
Lima, finalmente. Ci?che pi?mi pesa ogni volta che torno in Per??linterminabile viaggio aereo: 15-16 ore che non passano mai. Le gambe dolgono e lo stomaco pure a causa dellenorme quantit?di poco appetibile cibo che continuo ad ingoiare automaticamente, sperando che il tempo scorra rapido. Ormai ?troppo tardi per proseguire subito il viaggio, pertanto decidiamo di sfuggire allinsopportabile clima limegno cercando rifugio in un albergo del Callao, nei pressi dellaeroporto. "Dai ragazze, una buona notte di riposo e poi domattina si parte. Vedrete, Pozuzo vi piacer?quot;. Blanca e Valeria Valicha mi guardano con gli occhi spalancati. "Sei fuori?", sbotta la mia dolce mogliettina, "Dopo tutte queste ore, credi che abbiamo voglia di sorbirci altre tribolazioni? No, caro, domattina ci alzeremo con calma e prenderemo un aereo per Arequipa". "Ma ", cerco di protestare, "Niente ma", incalza Valeria, la figliola devota, "mamma ha ragione e tu sei il solito esagerato. Poi, ad Arequipa ci aspetta il nonno e non vedo lora di ritrovare i miei amici". La notte trascorre lenta e noiosa. Il cambio di stagione e il fuso orario, penso. Ma no! Blanca e Valeria russano placide. Solo io non riesco a prendere sonno. Rivoltandomi nel letto fra le lenzuola umide, rimugino senza sosta. Le mie donne hanno ragione. Il viaggio verso lAmazzonia centrale ?duro, difficile da intraprendere anche da parte di persone riposate; figuriamoci che travaglio sarebbe per noi gi?cos?provati. Le mie donne hanno ragione. S? per?non riesco a dormire. 21 luglio 2000 (venerd? Le otto. Mentre esco dalla doccia, ascolto i movimenti e i suoni gutturali provenienti dalla jungla della camera. Le signore si stanno stiracchiando soddisfatte ed ora pregustano una buona colazione, prima di effettuare lultimo balzo aereo verso la "ciudad blanca". Arequipa ?ad unora di volo. Presto forzeremo questa cappa grigia che opprime Lima e ci libreremo nel cielo, verso il sole caldo e accogliente della valle del Misti. "Ragazze", abbozzo imbarazzato, "siete davvero decise?". "Va bene, abbiamo capito", rispondono ridacchiando le mie fanciulle, "accompagnaci in aeroporto e poi vai, se ci tieni cos?tanto a cacciarti nei guai". Un paio di jeans gualciti, qualche maglia in non migliori condizioni e poca biancheria ?tutto quello che decido di portare con me dentro allo zaino gi?provato da altre esperienze. In avenida Manco Càpac ?ubicato il terminal della linea di autobus "Chanchamayo", forse la migliore opzione per raggiungere la cittadina di La Merced, alle porte dellAmazzonia centrale del Per? Mentre attendo la partenza dellautomezzo che alle 11.30 mi porter?verso le Ande, non posso fare a meno di ringraziare la buona sorte. Quando giungo allo sportello della biglietteria, infatti, scopro con disappunto che tutti i posti del bus risultano prenotati da giorni, per? conoscendo come vanno le cose in questa parte del mondo, non desisto. Sorrido teneramente alla bigliettaia: inutile. Mi dispero: " ¿Pero, señor, que puedo hacer? No hay campo, les digo". Mi invento che la famiglia mi sta aspettando, che non la vedo da troppo tempo, che non posso attendere oltre: "Est?bién, señor, si usted quiere abrìa un campito en el fondo del omnibus, pero no se si podr?acomodarse all? con su tamaño". Evviva! Si parte. Il mio sedile si trova in ultima fila, giusto in mezzo al corridoio. E un sedile per bambini che non pu?in alcuno modo ospitare il mio fondoschiena, per?confido nel buon cuore del secondo autista e nella comprensione di qualche compagno di viaggio. E fatta. Una tenera vecchietta, piccola ed esile, accetta di cambiare il mio posto col suo, evitandomi otto ore di sofferenza seduto sul pavimento. Chosica, Matucana, si inizia a salire la dorsale andina. Ore 14.15, quota 3000 metri: sosta pranzo. Quasi tutti scendono a mangiare, ma io, unico straniero, decido che mi sta bene una tavoletta di cioccolato e un po dacqua. Gli altri, grandi e piccoli, si abbuffano. Visto che sono peruviani, sapranno certo ci?che fanno. Da parte mia, la paura del soroche, il mal di montagna, mi consiglia prudenza. Si riprende a salire. Inizia a piovere. Si sale. 3800 metri, piove. 4000 metri, nevica! Brutta storia, speriamo bene. Il nevischio si muta in tempesta di neve, lautobus arranca. Prego che non si fermi, perch? con le sue gomme lisce, potrebbe non ripartire. Auto rovesciate, camion in panne, bus che non ce la fanno pi? Per fortuna il nostro avanza, resiste. Il mal di montagna inizia a mietere le prime vittime. Allinterno dellautobus c?silenzio totale. I genitori aiutano i figli sofferenti passando batuffoli di cotone imbevuti dalcol sulle narici. Nevica. Ticlio, 4818 metri daltitudine, finalmente in cima. Ma ora, forse, ?ancora peggio. La strada scende ripida e tortuosa verso La Oroya. "Cazzo, autista, rallenta!" I sacchetti di plastica si riempiono di succhi gastrici e cibo non digerito. "Porca miseria! Perch?avete voluto rimpinzarvi?" Io sto bene; provo solo una strana sensazione: sudore alla schiena e freddo allo stomaco. Mi copro laddome con la giacca e respiro piano cercando di mantenermi rilassato. La Oroya, il peggio ?passato. Ora scenderemo verso lAntisuyo, gi?fino ai 3000 metri di Tarma e ancora pi?in fondo per raggiungere gli 800 metri di La Merced nella Selva Central. Il buio mi avvolge quando scendo dallautobus alle otto di sera. Prendo al volo il primo mototaxi e mi avvio in Plaza de Armas. La Merced ? in festa per il festival del caff? Ora mi concedo una notte di riposo nel miglior albergo del centro. Un "tallarin saltado" con carne mangiato di fretta e senza voglia, una buona birra ghiacciata. Due passi per la plaza ad ammirare i carri allegorici che transitano fra due ali di folla e ad ascoltare un paio di bande musicali che suonano contemporaneamente motivi differenti; solo una mezzora, poi la stanchezza ha il sopravvento. La camera pare pulita. Accendo il ventilatore e la TV e mi metto sotto la doccia fredda. Lacqua calda non esiste. 22 luglio 2000 (sabato) Le tre del mattino, suona la sveglia. Con la testa pesante e gli occhi gonfi, inizio a vestirmi. Porca vacca! Quel gran figlio di "buona scarafaggia" non poteva trovare un posto migliore dei miei pantaloni per la sua siesta? Linsetto impaurito mi scende in fretta dalle gambe e si nasconde sotto il letto. Va b? deve pur vivere anche lui. Esco in una deserta plaza de Armas, scuoto il conducente di un mototaxi che sonnecchia appoggiato al manubrio e mi faccio accompagnare al terminal terrestre. C?una Combi in partenza. Ho la fortuna di essere lunico "gringo" e, come tale, di vedermi assegnare il posto migliore, a fianco dellautista. Mi vergogno un poco, ma tant? Si parte. La strada ?asfaltata e si pu?correre, ma dopo pochi chilometri, oltrepassato il ponte sul rio Colorado, abbandoniamo la via che porta a Satipo, voltando a sinistra in direzione di Oxapampa. Lasfalto ?solo un ricordo. Si inizia a saltare, ma comincia anche lavventura. Buche, fango, dossi, frane. Si va. Passiamo rasentando piantagioni di banane e caff? attraverso la foresta amazzonica. Sempre pi?dentro. Lemozione ?forte. Poco pi?di tre ore e giungiamo a Oxapampa. Cambio di combi e via. Ora inizia il tragitto pi?difficile. Accanto a me ? seduto un ragazzo biondo, occhi azzurri. E il primo pozuzino che incontro. La strada diventa sentiero. Si cammina lentamente guadando torrenti, sfiorando cascatelle, superando momenti difficili. Il rio Huancabamba scorre impetuoso laggi?in fondo, oltre il ciglio della strada a cinque centimetri dalle ruote del nostro veicolo. Massi, smottamenti, frane e alberi sradicati costringono lautista a pericolose manovre. Pi?volte sbatto il capo contro il tettuccio e sempre pi?spesso mi chiedo se riusciremo ad arrivare alla meta. Confesso di provare timore, ma questa ?la vita che cercavo e questo ?ci?che ho ottenuto. Ho paura, ma sono soddisfatto! Il ponte di "Prusia", ancora tre chilometri e sar?a Pozuzo. Andrés Egg mi accoglie con un abbraccio. Piange. Mi commuovo anchio. Sembra impossibile che un incontro durato pochi giorni si sia trasformato subito in amicizia e che, a distanza di tre anni, questa si sia addirittura rinforzata. Impossibile, per??cos? C?baraonda nel villaggio. I coloni sono in fermento perch?domani, 23 luglio, inizieranno i festeggiamenti che culmineranno marted? 25, anniversario dellarrivo in queste lande della desolata schiera di emigranti tirolesi e prussiani. 141 anni fa, infatti, giunsero fin qui alcune famiglie di contadini austriaci e tedeschi alla ricerca di una mitica terra promessa. Lincredibile viaggio dur?pi?di due anni e i tenaci colonizzatori dovettero subire tribolazioni, sventure e morti per riuscire a realizzare il sogno di una vita migliore. Una piccola camera nella rustica casa di legno del fratello di Andrés ?il rifugio che accoglie il mio corpo malconcio. Poche ore di sonno, poi domani parteciper?pure io ai preparativi della festa. 23 luglio 2000 (domenica) Una leggera pioggia entra dalla piccola finestra priva di vetri e mi inumidisce il viso, svegliandomi. Marmellata di papaya, banane fritte e bollite, burro, pane croccante, uova strapazzate, succo di squisiti arancini, tutto di produzione della famiglia Egg, mi attendono al tavolo del "Tipico Pozuzino", assieme ad un curioso e sdentato vecchietto di Lima che non mi moller?pi?fino al giorno della partenza. Da pochi mesi, anche a Pozuzo ?arrivata la tecnologia e nel centro esistono due computer tramite i quali ?possibile comunicare via internet. C?un solo inconveniente: il telefono funziona a raggi solari e, se le nubi coprono il cielo per pi?di qualche ora, le comunicazioni si interrompono. In tal caso, ? giocoforza rimediare con la vecchia radio ancora efficiente e sicura. Grazie a Wilfredo Laura, il direttore della scuola, riesco a leggere la mia posta elettronica e a collegarmi anche al news group cui invio un messaggio che, per? scoprir?in seguito, non arriver?mai. Le giornate successive trascorrono veloci, riempite da musica, danze, pranzi e bevute. E una pappatoria monumentale. Mi piacerebbe essere un miliardario per affittare un aereo e far conoscere a tutti questo paradiso! Ciao amici. Arrivederci a Pozuzo.www.gabrielepoli.it Peru - Sierra
del Rio Chancay di (Roberto, Fidel, Gabriele) Viaggio in Peru
di Massimo Il primo impatto con il Per?non ?dei migliori, dopo aver trascorso molti viaggi in compagnia di altra gente, ora mi ritrovo ad essere per la prima volta da solo, quindi accuso subito "il colpo". Cerco un sostegno, un' idea, un consiglio da un compagno di viaggio che non ho: " mi devo arrangiare da solo! " ripeto pi?volte, infatti devo valutare, decidere ed affrontare la nuova realt?senza l'aiuto di nessuno. Decido di muovermi con decisione e di buttarmi in quel manicomio: l'aeroporto, che si "imbestialisce" quando ci sono gli arrivi internazionali: " Tu quanto vuoi per portarmi al mio Hotel? 15 $? Troppi!!... e tu quanto, 13 $? Niente da fare!! ", ad un certo punto, compare una donna, ?vestita bene e porta un cartellino di riconoscimento attaccato alla giacca, sembra anche lei un'agente turistico, mi afferra per un braccio e mi trascina in un angolo. Dice che mi ha sentito poco prima, contrattare animatamente con dei tassisti, e mi offre un passaggio al mio albergo con il pullman della sua agenzia per 6$. Non ci sto a pensare su neanche 10 secondi, accetto e partiamo....... Nel pulmino con me ci sono alcuni turisti italiani, anche loro appena arrivati da qualche minuto. Decido di rimanere in silenzio, anzi, mi diverto ad ascoltare quello che dicono. Faccio l'indifferente per non far capire di essere un "pais?quot; e penso tra di me " sono appena arrivato, quindi, per un po' di tempo, basta Italia ed italiani!! ". Il tragitto che l'autobus percorre per raggiungere il mio albergo, non ?dei migliori. Attraversiamo l'intera citt? passiamo in mezzo a quartieri poveri, inoltre, l'orario ed il buio della notte, sicuramente, non mi aiutano ad ambientarmi. Ascolto dietro di me, i commenti del gruppetto d'italiani, per il momento, non sembrano molto soddisfatti del posto. Pi?avanti, arriver?alla conclusione che, Lima, a mio parere, non ?una bella citt? d'altra parte una metropoli con otto milioni di abitanti, sviluppata e moderna, con delle sovrapposizioni etniche, difficilmente mantiene legate a s?tradizioni, usi e costumi del suo popolo. " Non ?il Per?che cerco " penso tra me e me, " ma dove sono i suoi caratteristici abitanti, gli abiti coloratissimi, i lama? ", non trovo le tradizioni, la storia, l'archeologia e tutto quello che, di questo paese, mi ha sempre affascinato. " Devo scappare da qua, subito!, se riesco anche domani mattina col primo pullman, magari diretto verso Nazca ". Luned?8 gennaio, dopo essermi svegliato di buon ora ed aver fatto una buona colazione, esco dall'albergo e decido di fare un giro nel centro citt? per cercare di orientarmi. Percorro 200 metri e mi accorgo che, fortunatamente, ho pernottato in un posto non molto distante dal terminal della compagnia di trasporti che cercavo: la Cruz del Sur. Ritorno subito all'albergo per prendere lo zaino, pago il conto e mi avvio velocemente al terminal. Arrivo giusto in tempo per acquistare il biglietto dell'autobus che, con un interminabile viaggio di 9 ore, mi porter?nella citt?di Nazca. All'interno del terminal, mentre aspetto l'imbarco, cerco di non perdere di vista il mio bagaglio e mi assicuro che sia caricato nel pullman giusto: " Ok quello zaino ? proprio il mio, cos?bravo portalo da questa parte, ok! ora caricalo nel pullman e chiudi il portellone... ", a questo punto salgo e mi accomodo nel posto che mi ?stato assegnato. Vicino a me ci sono intere famiglie stracariche di sacchetti e borse, vecchi e qualche gringos che, con carta e penna, scrivono pensieri ed appunti di viaggio. Alle 11:00 partiamo, siamo in perfetto orario e sicuramente non sar?un viaggio rilassante, anche lo stesso autobus non mi sembra dei pi?comodi, per? a me va bene cos? perch? sto viaggiando con "loro", la gente comune, gli Indios: discriminati e poveri; quelli ai quali gli spagnoli nei secoli passati, guidati dall'avventuriero Francisco Pizarro, hanno rubato ori e ricchezze, hanno mutato le sorti del paese e, con la terribile inquisizione, hanno torturato ed ucciso la loro gente. La Panamericana, costeggia ad ovest l'Oceano Pacifico mentre ad est il deserto, ogni tanto attraversiamo zone ricche di vegetazione, sono delle oasi nel bel mezzo del deserto bianco e sabbioso. In alcuni tratti troviamo l'immancabile garùa, ovvero umidit? sprigionata dalle correnti del Pacifico che, con il calore si muta in nebbia. Le spiagge, che riesco a intravedere (nebbia permettendo) dal finestrino del pullman, sono quasi tutte deserte. " Mi piace questa garùa ", per me Toscano ?pur sempre una cosa insolita, " sembra di essere sulla scena di un film, la nebbia ed il mare insieme creano un'atmosfera quasi irreale, che strano......". Arrivo a Nazca in serata, sono stanco ed ho fame. Ho appena fatto un lungo viaggio in pullman, ma la fatica ?stata ripagata dalla bellezza del paesaggio. Sceso dall'autobus, un gruppetto di persone mi osservano, alcuni si avvicinano e si propongono per accompagnarmi all'albergo per il quale lavorano, altri mi girano intorno, forse aspettano una mia minima distrazione per approfittarne, oppure la loro potrebbe essere solamente pura curiosit?chiss?..... comunque cerco di stare all'erta ed infilo sulle spalle il mio zaino. Mi avvio con passo sostenuto verso l'albergo che ho scelto sulla mia guida, carino e abbastanza frequentato da persone giovani, ci sono molti avventurieri con zaino e guida alla mano, un gruppetto di americani sono venuti addirittura con le loro moto, stracariche di bagagli e tutte impolverate. Nazca ?la citt?delle misteriose "Linee", enormi ed intriganti disegni geometrici tracciati sul deserto e visibili solo dall'alto, famosissimi in tutto il mondo. Una studiosa tedesca, Maria Reiche, ha dedicato tutta la sua vita a studiare queste Linee e ha ritenuto che, siano state fatte dalla cultura Paracas e di Nazca, nel periodo che va dal 900 a.C. e il 600 d.C., questa donna ?morta qualche anno fa all'et?di 95 anni e ho saputo che la sua abitazione ?stata trasformata in un museo. Il mattino seguente, mi sveglio di buon ora e dopo aver fatto colazione in albergo, esco e mi metto alla ricerca di un'agenzia che mi permetta di fare l'escursione alle "Linee". Dopo averne interpellate alcune, scelgo quella che pi?mi soddisfa, sia come programma dell'itinerario, sia come costo totale del tuor. Alle 9:00 in punto, per 30$, decolliamo con l'ultraleggero e ci dirigiamo verso il deserto di Nazca, a 20 chilometri dalla citt? per vedere queste famose "Linee". Il volo, purtroppo, mi rivoluziona lo stomaco, la colazione "sostanziosa" ed il caldo all'interno della cabina di pilotaggio, mi fanno fare...... una frittata, nel vero senso della parola: " Per?ne valeva la pena ", dico al pilota che mi guarda e sorride divertito. I disegni nel deserto sono bellissimi, si possono ammirare diverse figure geometriche, animali, tra i quali risaltano per la loro particolare bellezza e precisione il Ragno, il Colibr? la Balena, la Scimmia. Negli anni passati, sono state formulate diverse ipotesi sul significato di questi disegni, la pi?credibile, sembrerebbe quella che identifica le "Linee" in un calendario astronomico usato per favorire l'agricoltura. Purtroppo dall'alto, si intravedono anche i segni che, alcuni irresponsabili, hanno fatto con i loro fuoristrada. Il tour prosegue e nella tarda mattinata visitiamo un interessante sito Inca. Si tratta del cimitero di Chauchilla, distante circa 30 chilometri da Nazca. Vediamo mummie, frammenti di stoffe e di ceramiche risalenti ad un periodo compreso tra il 900 e il 1300 d.c. . Le mummie ed i frammenti, sono custoditi in tombe sotto la superficie del suolo, ma la cosa che pi?stupisce ?che basta spostare la terra, per far venire alla luce altri piccoli frammenti di ossa, e anche qualche pezzo di stoffa. Mercoled?10 gennaio, decido di cambiare citt?e mi dirigo, affrontando altre 8 ore di autobus, verso Arequipa. La "citt?bianca", come la chiamano i peruviani, ? ricca di monumenti ed edifici coloniali bellissimi. Un classico esempio sono, il Monastero di Santa Catalina e Plaza de Armas da dove si pu?ammirare in lontananza il vulcano El Misti, che con la sua vetta (5822m) si erge maestosamente dietro i monumenti. Plaza de Armas ?la zona pi?bella della citt? il punto di ritrovo di migliaia di persone ed un luogo dove poter trovare interessanti prodotti d'artigianato ed invitanti ristoranti. Nell'aria si inizia a percepire l'anima di questo paese. Negli edifici sono rimaste indelebili le impronte lasciate dagli spagnoli, balconate di chiara origine coloniale si affacciano sulle stradine strette del centro. Sicuramente Arequipa, ?la citt?pi? bella che ho incontrato fino a questo punto, in quanto pu?offrire molti servizi al turista. Difatti, dopo aver vagato per una giornata intera alla scoperta della citt? la mattina seguente (gioved?11 gennaio), decido di andare con qualche ora di pullman al Canyon del Colca, uno tra i pi?profondi del mondo. Raggiungo il punto panoramico chiamato Cruz del Condor, otre i 4000 metri d'altitudine, e riesco a vedere, con un po' di fortuna, il Condor delle Ande. La notte la trascorro nel piccolo paesino di Chivay, ma, prima, nel pomeriggio, capito fortunatamente nel bel mezzo di un coloratissimo mercato, dove, la cosa che pi?mi sorprende, sono le persone del posto. Ad Arequipa come a Chivay, trovo gente bellissima, disponibile, umile, addirittura, quando entro nei loro negozi o nei mercatini, mi accorgo che queste persone provano timidezza nel rivolgermi la parola. Rimango sbalordito da questo aspetto, sono abituato ad altri posti del Sud America, dove si viene letteralmente "stressati" dall'insistenza di qualsiasi venditore. E' difficile per me, qua in Per? non comprare un braccialetto, una collana, di fronte alla richiesta di una ragazzina, o un qualsiasi piccolo oggetto d'artigianato che mi viene proposto da un altro bambino. Per non parlare delle "donnine" e delle "vecchiette": sono spettacolari. Le incontro negli angoli delle strade, la maggior parte di loro arrivano dagli altipiani andini, soprattutto da Puno sul lago Titicaca, sono vestite con maglioni in lana di alpaca tessuti a mano e cappelli caratteristici, vendono oggetti d'artigianato: Poncho, strumenti musicali come la Quenas, flauto fatto di bamb?od il Charango una minuscola chitarra derivata originariamente dagli spagnoli e totalmente modificata dagli abitanti degli altipiani. Alcune di loro si lasciano fotografare tranquillamente, mentre altre, soprattutto le pi?anziane, non vogliono. Ne ho incontrata una che, di fronte all'obbiettivo ?addirittura scappata, mi hanno poi spiegato che alcune persone anziane, non hanno simpatia per questo "oggetto strano" che gli viene puntato contro, pensano che gli venga mandata qualche maledizione o malanno. Trascorro in totale tre giorni ad Arequipa, tra escursioni giornaliere e stupende cene alla sera accompagnate dall'immancabile musica Folklòrica e in compagnia di tre viaggiatori conosciuti durante il percorso. Sabato 13 decido di spostarmi in direzione Puno, sul lago Titicaca. Il treno (tanto atteso) parte il mattino ed il programma prevede 12 ore circa di viaggio, si salir?di quota: dagli attuali 2325m di Arequipa ai 3820m del lago Titicaca, situato sulla cordigliera delle Ande (montagne considerate dai suoi abitanti, sacre e viventi). Durante il viaggio, attraversiamo altipiani deserti, zone di particolare bellezza ed incontriamo qualche paesino sperduto fra i monti. Ogni tanto, il treno, fa delle soste in stazioni ferroviarie fatiscenti per permettere ai passeggeri di scendere, quindi, ne approfitto per scattare alcune foto, mi colpiscono soprattutto le famiglie che aspettano sedute sulle panchine con il loro "bagagli", formati quasi sempre, da sacchi contenenti frutta ed ortaggi da vendere o da usare come merce di scambio nei mercatini locali. I bambini, ma anche i pi?grandi, quando vedono passare il treno, salutano incuriositi i passeggeri, sembrano addirittura divertiti nel vedere questo treno delle Ande che, due o tre volte alla settimana, stracarico di gente, sale sempre pi?s?e sparisce dietro le montagne. Il viaggio ?lungo e sembra di non arrivare mai, tengono compagnia un gruppetto di giovani suore, dirette in Bolivia, che con le loro chitarre, intonano musiche e canzoni da "colonie estive". Riescono addirittura a coinvolgere ed a far cantare altri passeggeri stranieri e alla fine diventa tutto una festa. Dopo circa 10 ore di viaggio, incontriamo la citt?di Juliaca. Con il treno, attraversiamo l'interno della citt? tagliamo in due un mercato sfiorando le tende delle baracche, passiamo a pochi metri dalle porte delle case e dei bar, fino ad arrivare nella poco distante Puno, capolinea del nostro viaggio. La citt?di Puno ?il luogo nel quale pernottare per poi imbarcarsi in direzione del lago Titicaca. La citt?non ha grandi cose da visitare, se non la piacevole Avenida Lima, srada pedonale che si anima durante sera di gente e di musica. A questo punto, ? inevitabile non percepire la fatica per la differenza d'altitudine, le stesse scale dell'albergo sono degli ostacoli, e senza farlo apposta, la mia camera ?all'ultimo piano!! La serata la trascorro in compagnia di altri viaggiatori, e insieme, aspettiamo il nuovo giorno passeggiando in Avenida Lima, dove troviamo tantissimi ristoranti che lasciano al turista l'imbarazzo della scelta, non sappiamo quale scegliere e alla fine ci lasciamo convincere da un cameriere che, in strada con il listino, ci promette tanta musica ed una cena con i fiocchi...... Domenica 14, dopo aver prenotato per l'escursione sul lago, partiamo nella prima mattinata, con un'imbarcazione che lascia un p?a desiderare per quanto riguarda le misure di sicurezza e comodit? " non sono venuto in Per?per fare un viaggio di comodit?! ", penso per rincuorarmi. Con altri turisti proseguiamo l'escursione, visitiamo per prime le famose isole Uros, completamente artificiali, costruite con delle canne che crescono nei bassi fondali del lago. Le isole in se, sono molto particolari ed "uniche" per il loro genere, forse un po' troppo sfruttate commercialmente dal turismo. Viene da pensare che chi vi abita lo fa solamente per un aspetto commerciale, ossia poter vendere prodotti d'artigianato al turista che arriva da Puno. Sicuramente non ?una scelta di vita, al contrario di come fecero anticamente gli Indios Uros, tra l'altro oramai estinti. Facciamo una piccola sosta di 30 minuti sulle isole artificiali, il tempo di acquistare qualche souvenir e si riprende il viaggio in direzione dell'isola di Amantan? dove resteremo per una notte, ospiti di alcune famiglie di Indios Aymara. Amantan??un'isola tranquillissima e allo stesso tempo molto particolare, dove la televisione, le macchine, i taxi, i telefoni non hanno ancora fatto la loro comparsa, anzi, penso che, l'assenza di questa tecnologie moderne del XXI secolo, siano state censurate volutamente dalla popolazione. Nell'isola, regna una tranquillit?ed un'armonia fra la gente direi quasi "incredibile", tutti gli abitanti si conoscono tra loro e tutti partecipano al lavoro quotidiano nei campi. Si nota la mentalit?e lo spirito di "comunit?quot; che le persone hanno " sembra quasi un luogo incantato, un paradiso terrestre dove il tempo si ?fermato......". La famiglia che ci ospita, ci mette a disposizione una camera per la notte ed i pasti completi, ci viene offerto da bere anche un buonissimo infuso alla Mugna, un' erba caratteristica dell'isola. Insomma, veniamo trattati nel miglior modo possibile, con gentilezza e cortesia, come vengono trattati gli ospiti d'onore. Il giorno successivo, si cambia, ci trasferiamo nella poco distante isola di Taquile, simile come fauna e vegetazione all'isola di Amantan? ma diversa per i colori e costumi tipici dei suoi abitanti. Sbarchiamo nel piccolo porticciolo dell'isola e ci incamminiamo su per un sentiero, per circa un chilometro. Anche sull'isola di Amantan?abbiamo percorso chilometri sui sentieri, ed ora, eccomi qua a dover rifare un'altra sfaticata: " Io che non ho molta simpatia per il trekking...... " penso. Dopo circa 40 minuti di marcia, e dopo aver visto dei paesaggi molto belli, arriviamo nella piazza del paese e rimango sorpreso da quello che vedo: la piazza ?movimentata da un via vai di uomini e donne con abiti colorati, le donne, indossano vestiti molto belli, portano gonne a pi?veli e camicette ricamate minuziosamente, mentre, gli uomini indossano un berretto che assomiglia a quello da notte. In un secondo momento, la guida del posto ci riferisce che gli uomini con il berretto rosso sono sposati, mentre quelli con il berretto rosso e bianco non lo sono. I bambini che giocano nel piazzale completano lo scenario, "?molto bello e rilassante" mi dice un turista americano che sta facendo l'escursione con me. Infatti, anche nell'isola di Taquile, al pari di Amantan? regna una tranquillit?fuori dal normale, c'?solo da sperare che il flusso continuo di turisti, non rovini tutta l'armonia che c'?in questi posti. Di solito nei miei itinerari, passo da una citt?all'altra dopo due, al massimo tre giorni. Nell'isola di Taquile, se ne avessi avuto il tempo mi sarei fermato anche una settimana, lontano dallo stress, dalla confusione e dai ritmi che, la nostra societ? ci impone nella vita di tutti i giorni. Qualche giorno dopo, mi trasferisco a Cuzco, decido di farlo con l'autobus, in questo modo posso recuperare un giorno dal mio itinerario, poich?il treno che da Puno conduce a Cuzco non parte tutte le mattine. La compagnia dei trasporti che scelgo si chiama Libertad e i suoi autobus sembrano sicuri e partono sempre di buon ora. Risolvo comunque il problema "sicurezza bagaglio", portandomi lo zaino sopra l'autobus con me. Cuzco mi accoglie con le sue bellezze: i monumenti, le costruzioni in stile coloniale, la magnifica ed immancabile Plaza de Armas. E' sicuramente la citt?con pi?reperti archeologici e la pi?antica di tutto il sud America, molte costruzioni hanno come base, dei massicci muri di pietra, costruiti nei secoli passati dagli Incas, e tuttora funzionano da possenti fondamenta alle costruzioni elevatesi in un secondo momento sopra di loro. Le persone, a differenza delle altre citt? sono (commercialmente parlando) pi? aggressive, ?facile vedere anche bambini che nei dintorni della Plaza de Armas, fanno l'elemosina. Questo fatto, deriva dalla presenza continua, per tutto l'anno, del turista. Da Cuzco, parto nei giorni seguenti per diverse escursioni: le rovine di Sacsayhuman dove gli spagnoli persero una battaglia; visito diverse piccole rovine Inca come Tambo Machy e Puca Picara; dedico una giornata intera per visitare Machu Picchu, imponente e magnifica citt?Inca (non ci sono aggettivi che possano renderne l'idea). Domenica 21 gennaio, mi sveglio di mattina presto e vado alla ricerca di un tassista che sia disponibile a farmi da guida per tutta la giornata; ho intenzione di recarmi a Pisac, visitare il suo mercato e le rovine Inca, per poi proseguire per la Valle Sacra dell'Urubamba. Arrivo in Plaza de Armas e noto da lontano un tassista fermo sulla sua auto. Mi avvicino e gli chiedo: " quanto vuoi per portarmi tutto il giorno fuori citt?? voglio visitare il mercatino di Pisac e la Valle Sacra dell'Urubamba ", mi risponde " 30$ ", accetto e insieme ad altri due turisti, parto. La prima tappa quindi, ?Pisac, che con il caratteristico mercatino della domenica, attira tantissima gente della zona e anche turisti. Arriviamo in mattinata, il paese ? gi?affollato di mercanti arrivati, con la loro mercanzia, da tutto il distretto di Cuzco. Hanno gi?iniziato, con i banchetti stracarichi di merce, a contrattare e a vendere fra di loro. Nella piazzetta principale, le donne stendono per terra stracci e coperte nei quali posare i prodotti: mais, patate, ortaggi vari, frutta e cereali. Vengono vendute anche pannocchie di Gran Turco bollite e servite con un pezzettino di formaggio, buonissime e gustose!! Ci sono contadini e commercianti arrivati dall'intero distretto, che cercano di vendere la propria merce, di concretizzare la fatica consumata durante tutta la settimana a lavorare nei campi. La domenica, il centro del commercio dell'intera zona, diventa Pisac. Tra le donne che vendono nel mercato, si sente parlare una lingua diversa dallo spagnolo, " ?il quequa " mi dice una vecchia, la lingua degli Incas. In un angolo, un gruppetto di persone attira la mia attenzione, mi avvicino e mi si presenta davanti una scena che mi lascia di stucco: uno sciamano, vestito in maniera suggestiva, con collane e pendoli vari, sta presentando alla folla il suo infuso miracoloso, dice che ?una bevanda curativa contro alcune malattie, riesco a capire "impotenza", "disturbi di stomaco" ed altre parole. La gente riunita attorno a lui, sembra coinvolta da quello che, questo "stregone" predica, poi, viene fatta girare una sostanza da bere, di colore rosso, con schiuma che fuoriesce a flotti come nei migliori laboratori chimici. Le persone, a turno, bevono un sorso dal solito bicchiere e poi lo passano a chi gli sta vicino. E' una scena bellissima, vista e rivista moltissime volte nei film e nei documentari ed ora non mi sembra vero esserne spettatore...dal vivo. In alcuni villaggi sperduti (ma anche in altre zone dell'America Latina), ritroviamo usanze religiose e mediche che, nella maggior parte delle citt?sono scomparse, il Per? nonostante sia un paese cattolico s'intravedono ancora, credenze e pratiche indigene. Cuzco ?la citt?dove mi fermo per pi?giorni e a Cuzco rimango fino al mattino dell'ultimo giorno del mio viaggio in Per? in quanto preferisco evitare il pi? possibile il caldo afoso e la confusione di Lima. Il giorno della partenza, prendo a malincuore il primo volo alle ore 08:00, rischio addirittura di non partire e perdere la coincidenza per l'Italia, causa il mal tempo, per?riesco ugualmente ad arrivare nella capitale un'ora dopo. Arrivo cos?alla fine del mio viaggio, ma, poich?l'aereo per il rientro in Italia partir?alle ore 22:00, mi rimane ancora a disposizione un' intera giornata da trascorrere a Lima. Decido di visitare, nella mattinata, il quartiere turistico di Miraflores, carino e molto tranquillo per il turista, passeggio fra i negozi e i ristoranti, mi fermo ad osservare la vicina spiaggia dove, alcuni ragazzi, si divertono a fare surf fra le onde dell'oceano, mentre lascio per il pomeriggio la parte migliore di Lima, uno dei pochi aspetti che pu?giustificare la permanenza in questa citt? l'ultima emozione che mi riserva il Per? il Museo Inca dell'Oro. Massimo Il Mar Rosso? Le Maldive? Il Grande Reef australiano? No, questa volta la ricerca di nuovi fondali da ammirare (non proprio da scoprire) ci ha portati in un angolo del Mar dei Caraibi, in Honduras e precisamente sulla barriera corallina della sua isola atlantica maggiore:Roatan. L'Honduras, paese dell'america centrale situato tra il Guatemala e il Nicaragua, ?stato finora pi?famoso per le sue piantagioni di banane e per i suoi colpi di stato che per la bellezza dei suoi fondali, della sua barriera corallina e per la ricchezza della sua fauna ittica. L'antistante arcipelago della costa atlantica, ?infatti composto da tre isole principali: Utila, Roatan e Guanaja. Queste isole, circondate da un mare veramente incontaminato, si sono aperte al turismo molto recentemente e di recente costruzione sono i rari villaggi turistici e i diving centers. La piccola Utila ?famosa per una singolare attrazione: ?il posto meno costoso nel mondo dove poter seguire un corso di immersioni subaquee e conseguire il relativo brevetto (PADI, naturalmente). Ma per il resto l'isola offre ben poco se non un' estrema tranquillit? Diverso ?il discorso per Roatan. Di ben pi?ampia estensione, l'isola ha pi?di un diving center, alcuni discretamente, altri ottimamente attrezzati, in diversi punti dell'isola. La vicinanza della barriera corallina, non pi?di 10 minuti per raggiungerla con un piccolo gozzo, e la tendenzialmente costante tranquillit?delle sue acque, la rende estremamente attraente per ognuno che voglia ammirarla, dal subacqueo principiante a quello pi?esperto e smaliziato. Punto di partenza prediletto degli inguaribili curiosi delle cose marine ?la zona del West End, all'estremit?occidentale dell'isola, dove si ?formata una piccola comunit? di alberghetti, graziose casette in legno da affittare sulla spiaggia, localini senza troppe pretese e, naturalmente, diversi diving centers, tutti comunque con istruttori ben qualificati e provenienti da ogni parte del mondo. Il fatto che questi diving siano di relativamente recente istituzione comporta una conseguenza importantissima per noi: hanno un attrezzatura a disposizione dei subacquei in ottimo stato e, in molti casi, nuovissima, senza quelle pinnette di pochi centimetri e quelle brutte maschere ingiallite troppo spesso proposte da diving in localit?pi?famose, a prezzi vicini allo strozzinaggio! C'?solo una piccola stradina in terra battuta e piena di buche che divide i vari diving dalla spiaggia, dove si trovano alcuni piccoli pontili di legno e da dove partono le barche alla volta della vicina barriera. Una volta in mare si prova quella bella consapevolezza di immergersi in un luogo, se non proprio incontaminato, certamente lontano dalle eccessive frequentazioni che caratterizzano altri reef. Raramente si incontrano coralli danneggiati dal passaggio di gruppi di subacquei e la ricchezza della fauna testimonia che la presenza umana ?ancora entro limiti accettabili. Il reef dell' isola di Roatan ha un' altra caratteristica che rende le immersioni emozionanti: ?spesso solcato da profonde insenature, simili a canyon sottomarini, a non pi?di 10/15 metri dalla superficie, ideali per godersi delle belle discese in apnea tra le due pareti. Allo stesso tempo l'estrema purezza dell'acqua rende certi ambienti estremamente luminosi ed adatti alla fotografia. Certo, raggiungere Roatan ?un pochino pi?dispendioso e non comodo come arrivare a Sharm, ma ne vale certamente la pena, almeno finch?anche l?non si inizier?ad incontrare sott'acqua gruppi di turisti sommozzatori e l'ambiente non sar?pi?lo stesso. Meglio farlo oggi che domani. Sante Pesci Canada: balene,
iceberg e notti boreali (Alessandro) Persone non se ne incontrano molte, ma nei campeggi, nei paesini e durante le occasioni di contatto si dimostrano ospitali e aperte; soprattutto nel Labrador gli abitanti sono amichevoli e cordiali, mentre nel Quebec la popolazione, fieramente francese, non sempre si apre al contatto e respinge tutto ci?che ? anglosassone, perfino la lingua. Un viaggio in Canada non si intraprende certo per motivi di interesse storico, anche se queste zone, Terranova in particolare, sono state il punto finale di quel viaggio mitico che port?i vichinghi ad approdare a Vinland dopo essere partiti dalla Scandinavia e aver attraversato Islanda e Groenlandia. Presso L'Anse aux Meadows abbiamo visitato un sito vichingo ottimamente conservato, ove venivano riprodotte con fedelt? ma anche con una certa artificiosit? abitazioni, imbarcazioni e abitudini di vita. Questa ?la storia antica e pi?gloriosa di queste zone, mentre oggi gli eventi politici riguardano le ben pi?concrete vicende per l'autonomia del Quebec e le varie vicissitudini dovute alle limitazioni della pesca. Dopo tanta natura pu?essere interessante e piacevole dedicare tempo a qualche citt? La nostra scelta ?caduta, per motivi di interesse ed economicit?chilometrica, su Quebec City e Montreal, mentre abbiamo evitato ogni altro centro urbano. La prima ha caratteri prettamente europei, ?una citt?ordinata, pulita, vivace, dalle forti connotazioni francesi; interessante ?stato trascorrervi la domenica, passeggiando tra tanta gente, tra pub e ristorantini, senza dimenticare una doverosa visita agli interessanti siti storici. Montreal invece ci proietta in un'atmosfera assolutamente nord americana, con i grattacieli e la caoticit?delle sue strade; tangibile la storia passata nella parte vecchia, quella recente nei volti di molte persone, chiaramente immigrate in tempi vicini, anche dall'Italia. Il Canada offre insomma molto, soprattutto per chi ama il contatto con la natura, per chi desidera trascorrere vacanze immergendosi nella sconfinatezza e nella pace. Tipo di abbigliamento: il clima nel Canada atlantico non ?particolarmente freddo n? piovoso, mentre nel Labrador ?un po' pi?rigido. L'abbigliamento deve essere perci? comodo, leggero per il giorno e pi?pesante per la sera; da portare comunque con s?una giacca impermeabile che protegga anche dal vento e un costume da bagno. Consiglio scarponcini da trekking e sandali come calzature. Consigli utili: il Canada offre spazi infiniti, quindi per muoversi al meglio e ottimizzare tempi e spostamenti conviene focalizzare bene gli interessi. L'itinerario proposto ?molto intenso, ma permette di compiere un giro circolare attraverso zone diverse e tutte meritevoli di visita; se si ha la possibilit??meglio diluire un po' nel tempo il percorso. Economicamente la tenda e la cassa cucina permettono un notevole risparmio e nemmeno troppi sacrifici, vista la cultura del "camping" dei canadesi; cos?come un auto a noleggio porta vantaggi economici ed ?indispensabile per un percorso con questi tempi e queste distanze. 1?giorno: Milano - Toronto - Montreal - Drummondville; aereo/auto; Km 104. Partiamo da Malpensa di mattina, direzione Canada. Dopo un volo di circa nove ore si arriva a Toronto ove dopo aver trovato con facilit?una coincidenza sostitutiva di quella persa, ripartiamo per Montreal che raggiungiamo dopo un'ora circa. Giunti all'aeroporto cambiamo i soldi e prendiamo contatto con l'agenzia di noleggio, con cui avevamo stipulato un contratto via Internet; troviamo tutto a posto, l'auto ?veramente ottima e permette una comoda collocazione per tutti e sei i viaggiatori con i rispettivi zaini. In Canada ? indispensabile possedere una carta di credito per sveltire le procedure di prenotazione ed i pagamenti di ogni genere, anche della benzina che, pur costando solo 1000 lire al litro, visti i chilometri percorsi e i consumi elevati delle auto in dotazione, influisce non poco sulle spese totali. Siamo pronti per lasciare la citt?nel tardo pomeriggio e cerchiamo di portarci pi?a nord possibile, riuscendo ad arrivare fino a Drummondville*, anonima cittadina dove trascorriamo solo la notte. 2?giorno: Drummondville - New Brunswick - Woodstock; auto; Km 670. Ci si alza di buon mattino e subito si parte verso nord, costeggiando l'estuario del fiume San Lorenzo*** che via via si fa pi?largo. Attraversiamo piccoli centri abitati del Quebec, situati sulla costa est del fiume, ove molte sono le graziose e tipiche chiese. I colori del San Lorenzo possiedono tutte le tonalit?del blu, dando l'impressione di acqua pulita, ma gelida; il clima al mattino ?piuttosto fresco e ventoso, ma con il passare delle ore si fa piacevole. Lasciamo la costa e ci dirigiamo verso il New Brunswick; passiamo il confine, spostiamo le lancette in avanti di un'ora e ci inoltriamo nella bella valle fluviale del Saint John *** , costeggiando il confine americano. Le strade si allungano indefinitamente, contornate da una natura ben conservata e protetta: il verde ?il colore dominante, mentre il sole che, fortunatamente ci accompagna, si riflette sulle limpide acque del fiume. Durante il percorso incontriamo i lunghi ponti coperti, caratteristici della zona, tra i pi?lunghi al mondo. Arriviamo di sera a Woodstock**, piccolo e tranquillo villaggio, solamente omonimo della pi?famosa citt?americana. 3?giorno: Woodstock - Fundy National Park; auto; Km 380. Partiamo quando ancora la nebbia avvolge il corso fluviale. 4?giorno: F. N. Park - Nuova Scozia - Lunenburg; auto; Km 540. In mattinata visitiamo una parte di costa erosa e modellata dal battere del vento e dal continuo sali e scendi del mare: noi la visitiamo dal basso, potendo andare sulla spiaggia, pi?tardi la visita sar?possibile solo dal mare, con i Kayak. Sta ora arrivando l'alta marea ed i fiumi paiono andare al contrario, con la corrente che risale verso i monti. Decidiamo, per la nostra politica di viaggio e per i nostri interessi, di non fermarci nei grossi centri abitati, per cui sacrifichiamo qua, Saint John e nel proseguo, le altre grosse citt? Ripartiamo ed entriamo in Nuova Scozia, altra provincia atlantica che per storia e luoghi ricorda le Highlands scozzesi. Facciamo in tempo a saggiare le acque di queste parti che, lambite da una corrente calda, risultano assai pi?frequentabili delle precedenti. Andiamo verso sud, arriviamo nella bella e caratteristica cittadina di Lunenburg**, dichiarata patrimonio dell'umanit?dall'Unesco; il campeggio ?situato in una bella posizione panoramica, da dove si osservano due laghetti immersi nel verde. 5?giorno: Lunenburg - Peggy's Cove - Cape Breton Island; auto; Km 540. Dopo una serata allegra, trascorsa in un pub del piccolo paese, al mattino decidiamo di visitare il porticciolo e fare due passi tra le viette a ridosso del mare. La cittadina ? molto graziosa e situata in un'area assai suggestiva con il verde della costa da una parte e le insenature del mare dall'altra, il tutto fortunatamente valorizzato da un sole splendente. Ci rimettiamo in viaggio e percorriamo la strada verso nord, in una zona dove la costa e la vegetazione sono basse, per la costante azione del vento. Lungo la strada ci imbattiamo in una zona monumentale, ricordo di vittime di una tragedia aerea avvenuta proprio l?di fronte. Veniamo a sapere che da queste parti le tragedie sono state diverse, alcune famose come quella del Titanic, le cui vittime sono sepolte ad Halifax, altre meno note, ma molto catastrofiche come lo scontro "esplosivo" tra due navi cariche di tritolo. Arriviamo quindi a Peggy's Cove***, dove visitiamo un faro in ottimo stato di conservazione, collocato in un villaggio di pescatori e un punto di raccolta delle aragoste. Riguardo ai fari, in questa zona ce ne sono diversi, tutti molto ben tenuti e vengono proposti svariati itinerari per visitarli. Per raggiungere Cape Breton Island decidiamo di percorrere la strada costiera, riuscendo a fare anche qualche piacevole bagno in spiagge ben attrezzate. Raggiungiamo l'isola percorrendo il breve ponte che la collega alla terra e l?riposiamo. 6?giorno: Cape Breton I. - Cheticamp - Meat Cove; auto; Km 290. Partiamo di buona mattina per percorrere la cosiddetta Cabot Trail****: la strada che compie il giro costiero dell'isola di Cape Braton, proponendo scorci e paesaggi che ricordano le Higlands scozzesi. All'inizio la costa non ?molto alta, ma ben presto la strada si inerpica, facendosi largo tra il verde della vegetazione. A met?strada ci fermiamo in un piccolo villaggio, ove abbiamo la possibilit?di fare whale watching***, ovvero ci imbarchiamo su una minuscola barchetta e puntiamo verso il mare aperto, a caccia di balene. Usciti dal porto incontriamo subito balene in piccoli branchi, nere, con un cranio che ricorda quello dei Beluga. Cos? anche molto vicini alla terraferma, vediamo numerosi esemplari e poi abbiamo la possibilit?di andare a ridosso delle alte scogliere, di apprezzarne l'imponenza e scorgere un'aquila e un carib? Ci rimettiamo in viaggio e puntando verso nord abbiamo modo di apprezzare la parte pi?panoramica del tragitto, con alte scogliere, su cui ci avventuriamo attraverso una strada tortuosa. Arrivati in punta decidiamo di percorrere qualche chilometro di sterrato per arrivare all'estremit?nord e la fatica viene ripagata perch?possiamo piantare le nostre tende in un luogo fantastico, davanti al mare, su una verde scogliera. La serata offre un tramonto suggestivo e la solita cena modesta, comunque appagante, perch?consumata tra amici, davanti al fuoco, sotto un cielo stellato... 7?giorno: Meat Cove - North Sydney - Terranova - Corner Brook; auto e nave; Km 400. Sfruttiamo fino all'ultimo la bellezza del posto, concedendoci un bagno indimenticabile all'alba, nel silenzio della natura, sul nascere del giorno. Ci mettiamo subito in viaggio per raggiungere il porto di North Sydney, dove salpiamo per raggiungere l'isola di Terranova. Purtroppo il viaggio, nel pieno del giorno, ci sottrae del tempo, ma avendo prenotato solo pochi giorni prima, quella ?stata l'unica soluzione (consigliamo a tutti di prenotare sempre ogni tipo di trasferimento con un certo anticipo, per poter scegliere senza problemi le soluzioni preferite). Il viaggio ?comodo e noi siamo cos?stanchi che, anche delle spartane panchine di plastica sul ponte, sono abbastanza comode per riposarsi un po'; la nave ?piuttosto affollata, principalmente da canadesi, qualcuno dei quali si trasporta perfino la casa, come abbiamo modo di notare nella stiva.. Dopo circa cinque ore di navigazione raggiungiamo l'isola di Terranova, che ci accoglie con un clima uggioso, piuttosto ostile. ?gi?tardi, ma dobbiamo comunque fare un po' di strada per guadagnare tempo: le cose da vedere in quest'isola sono tante e tali, che dobbiamo evitare qualsiasi perdita di tempo. Questa ?l'isola dove arrivarono i vichinghi, attraverso Islanda e Groenlandia, luogo di una natura particolare e incontaminata, terra per alci e carib? Cos?ci mettiamo in macchina e arriviamo al campeggio per le dieci di sera. 8?giorno: Corner Brook - Gros Morne National Park; auto; Km 260. Partiamo presto e cerchiamo di raggiungere prima possibile il parco nazionale del Gros Morne***, dichiarato tra l'altro dall'Unesco patrimonio dell'umanit? Il parco ?molto vasto e numerose sono le attivit?proposte e i trekking di vari livelli per difficolt? Noi decidiamo di fare un'escursione di circa 3 ore, nella parte sud del parco. La camminata ?piacevole e non molto difficoltosa e permette di attraversare dei sentieri che portano a punti panoramici interessanti. Dall'alto si apprezza il verde generale del paesaggio, il blu del cielo, oggi sereno e solare, e un pittoresco fiordo che si insinua tra i monti, regalandoci un insieme davvero unico. Salendo, spiccano poi dei monti di colore marrone vivo, molto vistosi e diversi rispetto gli altri: sono formazioni molto antiche, dalle linee morbide, modellati dall'azione millenaria degli agenti esogeni. Arriviamo al Gros Morne: massiccio che si eleva all'improvviso, ripido, a ridosso della costa. ?uno spettacolo molto suggestivo e con una camminata di circa tre ore si arriva sotto il monte: noi ci incamminiamo, ma siamo presi alla sprovvista da un forte temporale e siamo costretti a ritornare. Per la notte, ci accampiamo nei pressi della costa, vicino a una spiaggia sabbiosa, non senza difficolt?per il forte vento, ma un tramonto bellissimo ci ricompensa. 9?giorno: Gros Morne National Park - L'Anse aux Meadows - River of Ponds; auto; Km 650. La tappa di oggi ?molto lunga, anche se ripagata dalla visione di uno dei tratti di costa*** pi?interessanti di tutta Terranova. A differenza della costa della Cabot Trail, qua la strada corre lunga e diritta, fiancheggiando il mare e il paesaggio appare meno verde, con una vegetazione piuttosto bassa, sottoposta all'incessante azione del vento. Superiamo vari paesini e villaggi di pescatori, dove tra l'altro abbiamo la possibilit? di vedere un enorme scheletro di balena, fino ad arrivare nella parte pi?settentrionale. Qua tagliamo verso l'entroterra, su una strada sterrata, per non dovere poi ripercorrere per intero la strada gi?percorsa. Al termine di questa lunga penisola c'?L'Anse aux Meadows**, il sito archeologico pi?importante del Canada Atlantico: un antico villaggio vichingo in ottimo stato di conservazione. L'area non ?comunque vastissima e in breve ci siamo fatti un'idea del complesso; la cosa pi?interessante ?la storia che vi sta dietro, essendo questa la concreta testimonianza dell'arrivo dei vichinghi nel continente americano molto prima di Colombo, dopo quel lungo viaggio dall'Islanda, attraverso la Groenlandia, fino a qua: Vinland. I turisti presenti sono locali o provenienti dai paesi nordici. Lasciamo il posto, intravedendo la costa del Labrador, che poi raggiungeremo da molto pi?a nord; viaggiamo ora verso sud, sulla stessa strada, accompagnati da un caldo tramonto, vissuto sul mare, tra piccole, rosse casette di pescatori e pile di nasse per le aragoste. Ci fermiamo a River of Ponds, dove in un bel campeggio abbiamo l'occasione di riposare sotto un cielo meravigliosamente stellato. 10?giorno: River of Ponds - Deer Lake - Twillingate; auto; Km570. Smontiamo il campo e ripartiamo... come ogni giorno! Attraversiamo nuovamente il parco nazionale del Gros Morne, fermandoci a Mables Arch* per una visita alla costa, che presenta formazioni rocciose a forma di archi, dovute all'azione erosiva di mare e vento, ai resti di una nave affondata (tra l'altro di propriet?della stessa compagnia con cui ci imbarcheremo l'indomani per il nord). Salutiamo il parco e andiamo verso il centro. Arriviamo quindi a Twilligate**, arcipelago di piccole isole, che visitiamo attraverso le piccole strade tra fiordi e insenature. In questa zona, nella tarda primavera, arrivano dalla Groenlandia gli iceberg alla deriva, che poi si sciolgono; il periodo per?? troppo caldo e cos?dobbiamo accontentarci di alcune foto, che mostrano enormi blocchi di ghiaccio in piccoli golfi, al chiaro di luna... un'immagine che ben presto avremo l'onore di vedere nella realt? Alla sera abbandoniamo le nostre usuali buste per conce-derci il lusso di una cena a base di aragoste, qui abbondanti, economiche e gustosissime. 11?giorno: Twilligate - Lewisporte - traghetto; auto/nave; Km 110. Ci svegliamo di buona mattina, finiamo di vedere queste piccole isole arrivando alla punta nord, e ci dirigiamo quindi verso il porto di Lewisporte. Ci attende il nostro traghetto, gi?prenotato via internet, che con un viaggio in nave**** di circa 40 ore ci porter?nel nord, nel Labrador, fino all'ultima strada percorribile prima del nulla artico. Facciamo gli ultimi acquisti per renderci autosufficienti per circa quattro giorni e saliamo in nave. Questa appare piuttosto accogliente con docce, ristorante e sala-bar, nonch?ampi corridoi che ben presto divengono i nostri letti, non avendo previsto nel budget la voce "cuccette". Il primo pomeriggio ?un po' noioso, ma abbiamo anche finalmente la possibilit?di riposare, oziando tra i divani o giocando a carte. Il mare alla sera si fa un po' fastidioso, ma non quanto la tromba della nave, che vista la nebbia risuona ogni cinque minuti, rendendo poco tranquillo il sonno. 12?giorno: traghetto: Cartwright; nave. Ci svegliamo non proprio riposati, ma l'umore riprende quota alla visione, se pur in lontananza, dei primi iceberg. La rotta seguita dalla nave ?infatti la stessa degli iceberg, che dalla Groenlandia arrivano qua alla deriva; col tempo, andando a nord, gli avvista-menti si fanno pi?frequenti e possiamo osservare anche da vicino questi imponenti blocchi di ghiaccio. I compagni di viaggio sono per lo pi?gente del posto, che torna nel Labrador per trascorrere vacanze, incontrare la famiglia, o per motivi di lavoro; alcuni presentano tratti somatici particolari, che li distinguono dagli altri, essendo, a mio modesto parere non di antropologo, una via di mezzo tra indiani d'America ed eschimesi. Di turisti (fortunatamente) neanche l'ombra. A met?del viaggio ci fermiamo nel villaggio di Cartwright**, raggiungibile solo via terra, ove l'arrivo della nave ? l'evento della settimana. Ripartiamo, dopo aver caricato inaspettatamente un gruppo di ragazze biologhe di New York, che renderanno pi?piacevole il resto della vacanza, rimanendo poi con noi fino al Quebec. La serata ?spettacolare e offre un paesaggio indimenticabile: nel freddo pungente assistiamo ad un accesissimo tramonto, con le nuvole rosse ed il sole che scompare dietro gli iceberg. Mentre una balena sbuffa accanto alla nave, attendiamo la comparsa della luna, che con il suo chiarore riflesso dai ghiacci, ci accompagna nella notte, imprimendo per sempre quelle immagini e quelle emozioni in ognuno di noi. 13?giorno: traghetto - Labrador - Goose Bay - Labrador City; nave/auto; Km 600. ?l'alba, qualcuno si alza per godersi l'arrivo nel Labrador****, che ci accoglie con una giornata splendida, cielo celeste, mare calmo. Il porto di arrivo ?Goose Bay, noto per essere una base di addestramento per piloti militari. Noi sbarchiamo e con un certo "mal di terra", iniziamo a percorrere la tanto attesa strada di ghiaia, che ci accompagner?per circa mille chilometri. La natura ?ancora verde e abbastanza rigogliosa, per la vicina presenza del mare. Subito ci imbattiamo in diversi animali selvatici: una volpe, un ermellino e dei falchi; il fondo stradale anche se sterrato, non ?poi tanto male e con il nostro van, anche se cittadino, non abbiamo problemi. Le macchine che incontriamo sono pochissime (una all'ora) e la vegetazione si fa via via pi? rada, diventando quindi tundra artica. Il nulla ci accompagna per chilometri e chilometri, con un susseguirsi di laghetti, fiumi e alberi sempre pi?bassi; i cartelli stradali raffigurano pi?che altro motoslitte, visto che per la maggior parte del tempo questa ? una pista sulla neve. A met?strada attraversiamo Churchill Falls**, capolavoro dell'ingegneria elettrica, centrale elettrica enorme che rifornisce met?nord America; dopo circa otto ore arriviamo a Labrador City*, nient'altro che una miniera di ferro. ? la notte di S. Lorenzo e mai come questa volta sar?indimenticabile: trascorsa accanto alle nostre tende, davanti a un fuoco, guardando nel cielo terso le stelle cadenti, che si confondono con un'aurora boreale mozzafiato, spettacolo naturale incredibile... 14?giorno: Labrador City - Quebec - Baie Comeau - Forestville; auto; Km 680. La strada sterrata non d?tregua e delude le nostre speranze di miglioramento; lasciamo Labrador City, passando proprio attraverso le miniere di ferro, enormi e tecnologiche. Puntiamo ora verso sud e a fine giornata rivedremo il fiume S. Lorenzo, chiudendo un cerchio iniziato due settimane fa. Man mano che andiamo verso il Quebec il verde ritorna a farsi pi?intenso e la strada**** con i suoi infiniti rettilinei e continui sali e scendi attraversa interminabili boschi. Il silenzio, la grandiosit?degli spazi, l'enormit?degli ambienti ci attorniano, facendoci vivere e sentire sulla pelle il valore e la grandezza della Natura. Entriamo nella provincia francofona verso sera, ricongiungen-doci a malincuore con la civilt? le cittadine e l'asfalto. Decidiamo di proseguire, non senza fatica fino a Forestville**, ove, a ridosso di un piccolo lago, trascorriamo la notte. Le condizioni climatiche sono favorevoli e riusciamo ancora a vedere l'aurora boreale che, luminosa e colorata, si muove nel cielo notturno, impossibile da imprimere su una pellicola e da dimenticare. 15?giorno: Forestville - Baie St. Paul; auto; Km 300. Molto stanchi per i lunghi spostamenti dei giorni precedenti, decidiamo di prendercela comoda e cos?trascorriamo la mattinata mettendo a posto le nostre cose e nel pomerig-gio andiamo al lago. Raggiungiamo infatti uno dei tanti luoghi che d?l'opportunit?di svolgere attivit?balneare, ma stavolta evitiamo canoe, pedal?e quant'altro, per dedicar-ci a un po' di riposo sulla spiaggia. I villaggi di pescatori, le isolate case nei boschi hanno lasciato il posto a ordinati centri abitati e invece di riservati e ospitali autoctoni, incontriamo chiassosi gruppi di turisti. Questa zona, sulla sponda ovest del fiume S. Lorenzo, ?ben attrezzata per accogliere i viaggiatori, sia per le informazioni, sia per le strutture; in compenso per?i prezzi sono decisamente cari e la popolazione ? piuttosto chiusa, orgogliosamente francese e quindi inevitabilmente antipatica. La sera, il fiume regala ancora emozioni, con un tenue tramonto dai colori pastello, vissuto lunghe le strette strade tra piccoli centri abitati, costeggiando il S. Lorenzo. 16?giorno: Baie St. Paul - Quebec City; auto; Km 200. Il ricongiungimento definitivo con la civilt?avviene a Quebec City***, alla cui visita dedichiamo una giornata intera. Quebec ?a tutti gli effetti una citt?europea, senza grossi edifici e con una certa storia, vivibile, con un clima perfetto d'estate, ma sommersa dalla neve in inverno. Passeggiamo nelle strade del centro, pulito e molto ordinato, visitiamo la prima chiesa cristiana del nord America, il castello e la cittadella; gli spazi verdi sono molti e tutti ben tenuti. Su uno di questi mangiamo, godendoci dalla posizione alta la vista della citt? a dirupo sul fiume S. Lorenzo, che essendo domenica e una giornata serena, ?solcato da decine di piccole barche a vela. Con facilit?troviamo anche una postazione internet, dove possiamo finalmente dare nostre notizie a casa. La sera la citt?si anima con molteplici locali in perfetto stile francese, artisti di strada e pub con musica dal vivo. 17?giorno: Quebec City - monti Laurenziani - Montreal; auto; Km 410. Prima di lasciare la citt?dobbiamo trovare il tempo per recarci presso la stazione di polizia, per pagare una multa presa il giorno prima, a causa di un parcheggio un po' distratto. La nostalgia per il verde e la natura selvaggia, ci riporta subito verso uno dei tanti parchi nei dintorni di Quebec City, nell'area dei monti laurenziani**. La zona offre, oltre a scorci molto suggestivi, di fiumi che scorrono tra verdi e morbide montagne, attrattive turistiche a volont? Durante il periodo invernale il freddo e la neve avvolgono la regione e numerose sono le stazioni sciistiche; durante l'estate ? invece possibile fare numerosi trekking, giri in barca, canoa o... rafting. Noi optiamo per quest'ultima attivit?e, senza guida, affrontiamo un percorso che ci viene descritto molto facile; ?piacevole percorrere le valli, circondati dal verde e dal silenzio, anche se incontriamo diverse difficolt?lungo il tragitto, tanto da dover chiedere l'aiuto di esperti del posto. Bagnati, stanchi, ma divertiti, ci rimettiamo in moto: direzione Montreal. Cerchiamo un campeggio nelle vicinanze della citt?quando ?gi?buio, dopo un intensissimo tramonto, trovando finalmente posto a una trentina di chilometri circa dal centro. 18?giorno: Montreal; auto; Km 230. Ci districhiamo abbastanza agevolmente tra il traffico mattutino della metropoli e
arriviamo presto nel centro per la visita della citt? Montreal*** ha tutte le
caratteristiche della citt?nord americana, con grattaceli moderni, strade larghe e un
profilo che ?inconfondibile. Il centro commerciale ?molto esteso, con una rete di
collegamenti sotterranei incredibile, che nei lunghi inverni permette di muoversi senza
dover affrontare il gelo perenne; vediamo il circuito di Formula Uno, il casin?e lo
stadio costruito per le Olimpiadi. Incontriamo anche molti italiani che vivono qua,
immigrati da trenta, quarant'anni, nonch?molte persone di etnie diverse, come ?tipico
nelle metropoli. Interessante ?la parte vecchia, tranquilla, ben conservata, con chiese
e monumenti che si confondono con i modernissimi edifici e che riproducono le costruzioni
storiche europee, come per esempio, la chiesa di Notre Dame, uguale nelle forme, diversa
nella maestosit? La sera la citt??molto, molto vivace, come gi?ci avevano detto
tutte le persone incontrate; noi partecipiamo volentieri alla vita notturna,
permettendoci, come tradizione, un'ultima notte di divertimento e balli. ?il giorno della partenza. Con tantissimo rammarico, dobbiamo riordinare i nostri
pochi cenci e andare verso l'aeroporto. Riconsegniamo il nostro straordinario mezzo, che
ci ha accompagnato comodamente e con assoluta affidabilit?per 7000 Km, senza riscontrare
alcun problema; anche per il volo per Toronto, che avevamo deciso di antici-pare per
evitare problemi di coincidenza con il volo intercontinentale, non abbiamo problemi... non
ci manca che imbarcarci e lasciarci alle spalle, questa indimenticabile esperienza.
Sull'aereo ci assale la nostalgia per ci?che abbiamo visto, vissuto, fatto proprio. Il
bilancio non pu?che essere positivo, per un viaggio reso ancora pi?eccezionale,
perch?condiviso con sei insostituibili amici: Andrea, Cesare, Nicola, Paolo, Pippo e,
anche se solo mentalmente, con il mancato compagno di tenda Jacopo...
Patagonia e capodanno 2000! non voglio perdermi l'occasione per festeggiare l'ingresso nel nuovo millennio in modo speciale. 500 anni dopo Magellano, parto alla volta della terra pi?australe del pianeta. Sull'aereo che mi porta da Buenos Aires a Esquel c'?il solito clima che anticipa i grandi viaggi. Cartine e guide nuove si agitano ovunque, mischiandosi ai giornali d'affari di chi viaggia per lavoro. E' un continuo "donde vas usted ?" "where are you going ?" e, come al solito, quando rispondo ? uno spettacolo l'espressione sbalordita del mio interlocutore. Ho preparato tutto con estrema cura e le ore che mi separano da Villarica (Cile) sono trascorse su un bus a pensare a come riorganizzare i materiali all'arrivo. Forse cerco solo di allentare l'ansia che mi pervade sempre all'inizio di una grande avventura. Questo ?il momento in cui mi devo separare dal mondo lasciato a casa e concentrarmi sul presente, la mia nuova realt? A darmi il benvenuto ?la regione dei grandi laghi, circa 700 km divisi tra Cile e Argentina. Al passo Tromen valico per la prima volta la cordigliera Patagonica, che da nord a sud divide i due stati e lungo la quale si svilupper?il mio viaggio. Pedalo in una regione cosparsa da immensi specchi d'acqua, selvagge foreste e boschi di araucarie ai piedi di maestosi vulcani ricoperti di neve. Non c'?ambiente migliore per collaudare materiali e gambe. L'unico problema, sulla pista "de los sietes lagos", ?la polvere terribile sollevata dai mezzi che la percorrono. Costretto a pedalare per giorni con la bandana sulla bocca, in quella che si definisce la Svizzera del sud America, raggiungo Puerto Montt sulla costa cilena seguendo la strada n?31 e costeggiando altri laghi da favola come il Llanquihue. L'atmosfera che respiro ?di altri tempi. Nella nebbia, tra le tipiche case di legno colorate affacciate sulla baia di Roncalv? segno della massiccia colonizzazione tedesca, trovo da dormire in una tipica "hospedaje". So che presto queste comodit?saranno solo un ricordo. Con uno dei percorsi pi?suggestivi di tutte le Ande, il "Cruce de los lagos", arrivo a San Carlos de Bariloche. Un'angusta via terrestre e lacustre incorniciata da alte montagne, vulcani e da una coloratissima vegetazione. Lasciata l'ultima frontiera del turismo locale sotto una nevicata di fine inverno, mi inoltro nella natura pi?selvaggia del Parco Naturale Los Alerces. Ora si comincia a fare sul serio! Il fondo della pista ?di sabbia e ghiaia, su cui pedalare ?veramente frustrante, ma
ricco di energie riesco a mantenere buone medie giornaliere. Una sera, ormai troppo stanco
per montare la tenda, mi accampo all'interno di un capanno usato probabilmente dai gauchos
nei loro spostamenti. Cholila ?un minuscolo villaggio perso tra immense distese battute
dal vento e al suo ingresso mi capita di imbattermi in un ranch costruito con tronchi
sovrapposti. L'impressione di essere catapultati in pieno far west ?forte. Tipica
dell'America del nord, questa costruzione ?stata il rifugio dei due banditi pi?
braccati degli Stati Uniti all'inizio del secolo: Buch Cassidy e Sundance Kid. Affronto
170 km di pietre e salite durissime tra foreste incantevoli in piena montagna. Ora capisco
lo stupore di una guida locale quando mi disse che sono veramente pochi i ciclisti a
percorrere tutta la pista con 35 kg. di bagagli. Sono felice, e galvanizzato da questo
primo successo e affronto la strada sterrata verso il passo Futaleufu "Deserto verde". Cos?Charles Darwin defin?la regione quando nel 1831 la esplor?per la prima volta. Oggi ?attraversata da nord a sud dalla mitica Carettera Austral, un lungo corridoio sterrato di 650 km compreso tra la citt?di Hornopiren e le sponde del lago O'Higgins. Questa ?l'unica via per raggiungere il sud cileno dall'interno e attraversa una zona pressoch?disabitata. I lavori iniziarono nel 1976 per volere dell'ex dittatore Pinochet. Oggi ?possibile raggiungere solo Porto Yungay da dove i lavori proseguono in mezzo alla foresta verso Villa O'Higgins. Sono fortunato a incontrare alcune bellissime giornate di sole, che unite alla strada non estremamente accidentata, mi regalano immagini mozzafiato. Ma ?proprio quando piove e c'?nebbia che il fascino aumenta. Una natura integra mi avvolge, zone in gran parte inesplorate, ricoperte dal manto verde di rigogliose foreste subantartiche. Porto Puyuapi, sul fiordo Seno Ventisquero, ?uno dei due piccolissimi villaggi incontrati in cinque giorni di marcia. Le sue poche costruzioni umide in stile mitteleuropeo mi accolgono sotto un diluvio. L'atmosfera ?veramente suggestiva; montata la tenda accanto a un vecchio deposito del piccolo porto mi concedo due passi "in centro". La quiete e la serenit?fanno sembrare i miei passi anche troppo veloci. Per le strade piene di fango vedo solo gruppi di cani felici della loro libert?e un signore sulla sessantina con abbigliamento da ciclista. E' Richard, australiano di 65 anni, da un anno in viaggio, prima in Europa, ora in Sud America. In queste condizioni la simpatia ?immediata. L'impressione ?che il mondo sia molto pi?piccolo. Incontrandosi, ognuno con le proprie origini e la propria strada percorsa, avviene una sorta di assimilazione del cammino dell'altro. Infondo non importa da dove veniamo n?dove stiamo andando. Siamo due liberi cittadini del mondo! Riprendo la strada tra torrenti impetuosi e picchi scoscesi dai quali le acque dei ghiacciai si gettano nell'Oceano Pacifico. Il lago Buenos Aires, il secondo lago del Sud America dopo il Titicaca in Bolivia ?separato a met?dal confine con l'Argentina. Sulla cartina avevo gi?notato la sua grandezza, ma non potevo immaginare il fascino
di questo specchio d'acqua che mi appare all'improvviso da un'altura con i suoi riflessi
verdi, blu e bianchi da oasi tropicale. Finalmente esco dalla morsa della vegetazione
umida e a volte opprimente che cede il posto a spazi sempre pi?ampi e aspri. Uno scossone mi sveglia di soprassalto nella tenda. Mi sollevo a sedere ancora chiuso nel mio sacco a pelo e per qualche secondo non ricordo dove sono, dove ho allestito il campo la sera prima quando, ormai buio, mi sono fermato. La luce azzurra surreale che penetra dal telo mi avvolge e mi separa dalla realt? Vedo la tenda sopra di me agitarsi in modo drammatico scossa da un vento incredibile. Mi ricordo che per la stanchezza non ho affrancato i tiranti di sicurezza e corro il rischio di vedere volare via tutto. Uscendo, ancora assonnato, vengo quasi sbattuto a terra, ma riesco a legare i tiranti a grosse pietre come un marinaio in balia di una tempesta. Eppure Capo Horn e l'oceano distano ancora molto. La bici appoggiata dritta a un masso priva del suo carico ?stata sbattuta sulla tenda causando una lacerazione per fortuna facilmente riparabile. Mi circonda un cielo minaccioso, denso di nuvole che rotolano sbattute prepotentemente dal vento. Anche i contorni lontani dell'orizzonte, cos?statici nella loro immensit?e monotonia, sembrano agitarsi e prendere vita. Al riparo mi calmo. Sono le quattro del mattino del quinto giorno di traversata della RUTA 40, una pista durissima che porta a CALAFATE, circa 700 km a sud. Lasciato il paese di Perito Moreno, ci sono solo due punti di rifornimento: uno ? Bajo Caracoles, minuscolo villaggio di 101 abitanti, dove l'arrivo di un turista ?un avvenimento. Di solito la sveglia ?all'alba, il che mi permette di percorrere una buona distanza con vento debole, prima che nel pomeriggio si faccia troppo impetuoso. La Patagonia ?una terra cos?dinamica, viva e imprevedibile che per commentare il
terribile clima le popolazioni locali sono soliti ripetere "esta es la
Patagonia...!". Impossibile pedalare in queste condizioni. Costretto nella tenda, la
mia ansia maggiore ?per i quattro litri d'acqua che mi restano, perch? dalle relazioni
di un ciclista australiano, per i prossimi giorni il rifornimento sar?difficoltoso.
L'obbiettivo ?raggiungere una estancia verso la fine della pista, a centonovanta
chilometri, entro tre giorni. L'unico modo che ho per razionarla al meglio ?bere l'acqua
usata per cuocere la pasta ed evitarne l'uso per l'igiene personale. Mi trovo a centinaia
di chilometri dal pi?vicino centro abitato su una pista sterrata a pedalare per otto ore
al giorno lungo rettilinei infiniti, spesso rallentato a non pi?di 10-12km/h dalle
condizioni del terreno o dal vento. Intorno, desolate steppe dove la fauna locale, come
guanachi (una specie di lama), struzzi e aquile sono gli unici esseri a interrompere
l'immobilit?di questi spazi e quietare il senso di solitudine che, nei momenti
difficili, trova maggiore vigore. Il giorno seguente decido di partire lo stesso, il vento
si ?attenuato di poco, ma l'ansia provocata dalla totale inattivit?diviene
insopportabile e il senso di impotenza generato dalla rassegnazione ?inaccettabile. Una
buona colazione a base di panettone e "dulce de leche" mi da le energie
necessarie e in poco tempo mi ritrovo in sella. La temperatura ?intorno ai 5C? ma la
sensazione termica causata dal vento ?molto pi?bassa; mi si gelano le mani, ma sono
felice e carico, ho di nuovo accettato la sfida, sono di nuovo in strada e questo mi
spinge avanti con forza. Il senso di libert?che provo ?indescrivibile, quando si
accettano incondizionatamente la natura e si decide di non combatterla, ma di viverla come
parte di essa, superando le tentazioni alla rinuncia, i confini del possibile e del
sopportabile svaniscono. Il vento forte e contrario ulula incessantemente nelle orecchie, non sento neanche lo
scorrere delle ruote sulle pietre, la guida si f?sempre pi?impegnativa a causa dei
sassi e delle raffiche che, a tratti, mi costringono a correzioni acrobatiche per restare
in piedi. Il senso di frustrazione ?grande, mi sforzo di non guardare ogni cinque minuti
il contachilometri che non avanza. La strada ?dritta, interminabile e sfida i miei nervi
schiaffeggiati dal vento. Sono costretto a pedalare anche in discesa e a spingere per
lunghi tratti. La concentrazione ?massima, la mente affilata come un rasoio, e cerco di
non reagire alla sfida del nervosismo, l'istinto mi chiede perch?sono qui e mi dice di
fermarmi, ma a fare cosa ? Non ?vero che la forza per portare a termine certe cose
risiede nel non provare paura o ansia, ma nel saperla dominare. Perdo per un attimo il
contatto con l'ambiente che mi circonda e mi ritiro in me stesso trascinato dal disordine,
poi reagisco, mi adeguo al ritmo della natura e del vento fino ad essere un tutt'uno con
essi. Ora non c'?pi?contrasto, mi sento sereno, ho tempo per cantare (non riesco a
sentirmi per fortuna !) e per apprezzare questi panorami eccezionali. 40 km a ovest di Tres Lagos inizia la pista che costeggia il lago Viedma e 80 disagevoli chilometri e due giorni di vento contrario mi portano al cospetto di due delle pi?belle e famose cime del pianeta: il Cerro Torre e il Fiz Roy, chiamato dagli indios "Chalten"( la vetta blu). Ai loro piedi c'?Chalten, un piccolo paesino in cui la gente vive in una sorta di "non luogo" sconvolto costantemente dal vento. Qui mi concedo tre giorni di trekking fino ai campi base, dove sono state scritte alcune delle pi?suggestive e tragiche pagine dell'alpinismo mondiale. Sono nel parco Naturale los Glaciares, inserito nel 1981 nel Patrimonio Mondiale per le sue spettacolari caratteristiche naturali. Abbracciando anche la zona intorno al lago Argentino include una grande fetta del famoso Hielo Continental Sur, immenso ghiacciaio che si estende per 440 km, largo tra i 50 e i 90 km. Da una delle sue lingue terminali nasce il Perito Moreno, unico ghiacciaio al mondo in fase di espansione, che termina nel lago Argentino fino quasi ad ostruirne un braccio. E' impressionante il senso di impotenza che si prova a poche decine di metri dal suo fronte, alto fino a 70 metri e dal quale si staccano enormi blocchi di ghiaccio con assordanti boati. Da Calafate tento di inoltrarmi lungo una pista secondaria che, dai pressi del Perito
Moreno, mi porterebbe dritto verso il parco naturale Torres del Paine in Cile a sud. La
sua esistenza ?pressoch?sconosciuta e non risulta su tutte le carte, essendone vietato
l'accesso per motivi militari. Decido di tentare dopo che due trekkers americani mi hanno
assicurato di non aver visto tracce di controlli. Pochi chilometri dopo mi raggiunge un
veicolo fuoristrada della "policia" e subito mi viene intimato di seguire i due
occupanti al comando a Calafate caricando me e la bici sul mezzo. Ne nasce subito una
discussione che riesco a risolvere spacciandomi per un giornalista in missione. I due
confabulano alcuni istanti tra loro, poi mi lasciano con l'invito di rientrare. A questo
punto preferisco non rischiare e affrontare i quattro giorni per aggirare la Meseta
Vizcacnas sul prolungamento della Ruta 40. Assolutamente affascinante ?questo continuo
passaggio dalle montagne al desolato deserto, dal ghiaccio alla sabbia. Mi inerpico verso
il Passo Cancha Carrera, per entrare in Cile, su una strada dal fondo abbastanza agevole,
ma il vento contrario mi costringe a percorrere gli ultimi sette chilometri in un'ora. Il
parco, situato tra la steppa patagonica e le pendici orientali della cordigliera, ?un
incredibile alternarsi di lagune verdi smeraldo, fiumi impetuosi e cascate con pinnacoli
di roccia alti pi?di 3000 metri. L'impressione ?quella di pedalare in una favola, dove
la natura ?al suo stato primordiale, con ghiacciai color cobalto e una vegetazione
rigogliosa. Sorprendente ?la fauna che, in questo habitat, riesce a sopravvivere in
condizioni ideali: guanacos, volpi, fenicotteri rendono vive le ampie e verdi praterie.
Ormai il clima va cambiando, scendendo di latitudine, e mi obbliga ad un abbigliamento
sempre pi?pesante. Sempre pi?spesso la pioggia mi tiene compagnia durante il giorno e
faccio fatica a fare asciugare la tenda, unico rifugio umido dove cucinarmi un pasto caldo
e gioire di libert? E' trascorso pi?di un mese dal giorno in cui le prime pedalate incerte mi hanno portato dentro quest'avventura. Ora mi ritrovo di fronte allo stretto di Magellano e in poche ore sbarcher?sulla Tierra del Fuego. Mi commuovo a vedere dal "barco" quella terra avvolta nel fascino di un passato di mistero, avventura, leggenda. Il mio luogo lontano per eccellenza, l'ultima frontiera dell'esotico. Capisco che fino ad ora ho pedalato per questo: per essere su questa terra lontana, silenziosa, sola, incastonata all'estremit?meridionale del continente Americano, alle porte dell'Antartide. Seguo la pista Y 71 che, dal minuscolo porto di Porvenir, raggiunge la Baia di San
Sebastian in 250 km tagliando verso est il nord del'isola. Le difficolt?sono sempre le
stesse, ma per me ?un nuovo inizio, sono ricco di nuove energie e nuove emozioni. Sono
alla "fine del mondo". Giorni di pioggia rendono il terreno umido e pantanoso
lungo steppe di erbacee varie chiamate "coiron". Avvicinandomi all'oceano
Atlantico, il vento all'improvviso inverte la direzione e comincia a soffiare da est:
significa che purtroppo ?di nuovo frontale ! Oggi ho pedalato per 110 km controvento. Sono stremato e comincia a piovere. Una ruota
di carro e una freccia di legno indicano la presenza di una estancia e in pochi chilometri
sono alla porta. Chiedo acqua e un luogo dove potermi accampare ad un uomo alto e giovane,
ma con i tratti del viso estremamente consumati. Si chiama Juan Vargas ed ?un gaucho.
L'estancia, unica abitazione nel raggio di 200 km., si affaccia sull'oceano con alle
spalle infinite colline dorate spazzate dal vento su cui corrono liberi alcuni cavalli.
"De donde llegas ? venis con migo.. !" e con i larghi pantaloni da campo
(bombacha) si volta e mi invita a seguirlo. I gauchos sono il simbolo della Patagonia,
personaggi attorno ai quali mito, storia e leggenda s'intrecciano. Cavalieri liberi e
selvaggi sono presenti dal sedicesimo secolo, quando gli spagnoli introdussero i cavalli e
pecore. Oggi lavorano nelle estancias come "peon" e prestano servizio ai
latifondisti. Juan mi offre un letto nella sua umile dimora, mi accende la stufa mi
sorride e torna ai suoi cavalli. Per cena mi cucina il tipico cordero asado (agnello)
accompagnato dal pane che egli stesso produce. Fuori soffia il vento e la tenue luce di
una lampadina crea ombre magiche sul tavolo. Alle mie domande le risposte sono sempre
secche e concise, intervallate da lunghi minuti di silenzio interrotti solo dal rumore
coltello sul piatto. Vive solo, una volta al mese raggiunge un piccolo villaggio, a un
centinaio di chilometri, per fare festa dopo infinite giornate trascorse a radunare
pecore. Come vuole la tradizione ha un'aria ombrosa e taciturna. Cerco di rispettare la
sua natura e i suoi ritmi pesando le parole e lasciandomi assorbire dal silenzio. Capisce
che non sono e non voglio essere il "turista per caso" anche se nei suoi occhi
brilla l'incomprensione per un viaggio in un luogo inospitale come la sua terra e per di
pi?in bicicletta. La mia esperienza eccezionale ?il suo quotidiano malinconico da
sempre. All'alba Juan ?gi?uscito per raggiungere in alcuni giorni le sue pecore ai
pascoli invernali lasciandomi pane e marmellata di "rudivarvo" per il viaggio.
Riprendo a pedalare e grazie a Juan il sole, oggi, ?pi?caldo e il cielo pi?blu. A Rio Grande lascio la "ruta 3" per seguire una pista indicatami da un mandriano verso l'interno pi?selvaggio. A questa latitudine la steppa, dolcemente ondulata e priva di alberi, cede il posto a grandi catene montuose coperte da ghiacciai e nevi perenni. Inizialmente la strada, nonostante le salite, non mi crea problemi e decido di continuare in un ambiente straordinariamente bello. Questa ?una zona sconfinata, impervia senza traccia dell'intervento umano, dove
impressionanti pareti di roccia e cascate spettacolari mi suscitano emozioni intense e
primitive. Pedalo tra fiori dalle forme strane, alberi dai tronchi contorti e soprattutto
nel silenzio ovattato dei boschi ricchi di felci e muschi. Purtroppo il secondo giorno la
pioggia rende la strada impraticabile, devo spingere con il fango alle caviglie in una
nebbia spettrale. A volte provo sgomento per questa solitudine selvaggia, ma
contemporaneamente una coscienza di incredibile serenit?ed energia, che s'accresce e mi
pervade l'intimo, si fa spazio nel mio cuore; questo ?il vero volto di tanta durezza,
silenzio e purezza. Finalmente, dopo due giorni, stanco, ritrovo la pista principale nei
pressi del Lago Yehuin e in pochi chilometri sono sulla strada per Ushuaia. Gli ultimi
giorni li percorro in compagnia di un ciclista svizzero, Christian, con il quale affronto
fatiche e "nevicate". Domani arriver?a Ushuaia, la citt?pi?australe del
mondo, meta del mio sogno e fine geografico del mio viaggio. Sar?di fronte al canale di
Beagle e al temutissimo Capo Horn, come i grandi esploratori, ma non riesco a vivere
questo momento come lo scopo, il fine del mio viaggio.Il viaggio stesso ?stato lo scopo,
con tutte le emozioni, le esperienze mie e delle persone conosciute. Ora penso al viso dei
bambini che mi rincorrevano per farsi fotografare, alla forza e ai valori della gente che
vive questa terra cos?disagiata, ma infinitamente libera. Non ho viaggiato per arrivare,
ma per viaggiare. 60 gg e 3332 km. PESO: 45 chilogrammi pi?5 litri di scorte di acqua DIFFICOLTA': Sollecitazioni meccaniche, distanze tra i centri, notevoli variazioni climatiche, venti fortissimi sugli altipiani, notevole escursione termica tra giorno e notte. ANIMALI : Guanachi, nand? volpi colorate (zorro colorato, puma patagonico(felis concolor) poco pi?grande di un gatto, pinguini a Punta Arenas GLI ITALIANI IN PATAGONIA Ovunque andrete, sarete coccolati quasi come figli, dal momento che quasi tutti discendono da emigranti italiani. Alcuni vi pregheranno di portare i saluti a parenti lontani o una lettera di preghiera per S. Pietro. Troverete affetto e calore sincero. QUANDO Il periodo migliore per pedalare ?tra novembre e marzo, durante l'estate australe. Questi sono i mesi pi?caldi, ma il vento costante da nord ovest aumenta di intensit? spostandosi verso sud e sugli altopiani desertici l'escursione termica si f?altissima, con giornate infuocate e notti gelide. A nord le temperature vanno da un minimo di 15?a un massimo di 30? a sud massima 17?minima 0? COME Si pu?raggiungere Buenos Aires in Argentina o Santiago in Cile e successivamente volare con linee interne verso la localit?scelta per l'inizio della pedalata. Tra le compagnie: Alitalia, Iberia, KLM, Air France, oltre ovviamente Aerolinas Argentina e Lan Chile che propongono biglietti per pi?tratte interne a prezzi vantaggiosi. Costo da Lit. 1.500.000 a 2.200.000 in base al periodo e alle condizioni. DORMIRE In tutti i centri, anche i pi?piccoli ?facile trovare un tetto per dormire. Se non si hanno grosse pretese consigliabili sono le tipiche "Hospedaje", camere in affitto presso famiglie locali che permettono di usufruire di tutti i servizi, cucina compresa, (ottimo modo per entrare a contatto con la gente del posto). Nelle zone pi? disabitate l'ospitalit?presso le "estancias" (fattorie) non ?mai negata, infine una buona tenda ?indispensabile per coprire le lunghe distanze tra i centri abitati. Economico il Cile, cara l'Argentina. ACQUA E CIBO Quasi ovunque ?potabile, fare attenzione alla vicinanza di animali. Nel dubbio utilizzare pastiglie potabilizzatrici (katadyn). Non c'?difficolt?a trovare pasta nei centri pi?grossi, mentre la frutta e la verdura non sono invitanti nei villaggi pi? piccoli. Assolutamente da avere sempre nella borsa il "dulce de leche"; una crema di latte e zucchero cotti, estremamente energetico e reperibile ovunque. La specialit??la carne di agnello o vitello arrostita alla brace (asado)o alla griglia (parrilla). CARTOGRAFIA Tra le guide utilissima la famosa Lonely Planet da portare al seguito, mentre sono da leggere : "PATAGONIA E TERRA DEL FUOCO", di (A.V.Anania-A. Carri), e la guida di D. Nucera & G Nicoletti. In Italia sono poche le cartine dettagliate, ma sono sufficienti ed ?possibile reperirle presso: IL GIRAMONDO, via Carena 3 (Pz. Statuto) Torino tel. 011-472815 ; LIBRERIA DELLA MONTAGNA via Sacchi, Torino tel. 011-5620024; LIBRERIA DEL VIAGGIATORE, Via del Pellegrino 78, Roma tel. 06-68541048. Ottima la carta n?44 della serie AUTOMAPA MATERIALI E RINGRAZIAMENTI BICICLETTA : rigida in alluminio, cambio xtr e ruote semislick fornita da DREAM TEAM ski & bike service ASTI. (V. Morando , tel. 0141-217081) La ditta FERRINO (S : Mauro torinese , tel. 011- 2230711) mi ha fornito le BORSE posteriori, anteriori e da manubrio impermeabili e antistrappo della "ORTLIEB"; la tenda (mod Blizzard) ottima conto il vento; il sacco letto mod. Down micro HL, ideale per il cicloturismo in luoghi freddi (800gr. e resistente a -10?. Per proteggere i miei occhi da vento e sole mio sono servito degli occhiali della ditta ARS optical (Vergiate VA). Materiale fotografico consigliato e fornito da Asti Color laboratorio fotografico. ABBIGLIAMENTO Il clima assume molteplici caratteristiche in relazione all'altezza, la latitudine ed ai venti. Sono necessari sia abbigliamento leggero sia pesante. A nord si pu?pedalare in maniche corte, a sud servono capi tecnici in gore-tex leggeri, protettivi e traspiranti. Indispensabile una giacca a vento. Utili i copriguanti impermeabili. CONSIGLI Controllate che le strutture portaborse non presentino saldature deboli, se ?il caso rinforzatele. Siate autosufficienti meccanicamente e portatevi due copertoni di scorta (le pietre della ruta 40 sono particolarmente taglienti). Armatevi di un buon cavalletto se fate autoscatti (vento). Organizzatevi con le scorte d'acqua per 3-4 giorni (8 lit.). Necessaria una tenda robusta contro il vento. Utilissimo il filtro polarizzatore.
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